«Il nostro territorio è più fragile di altri. Dobbiamo darci da fare». Antonello Pasini, fisico climatologo del Cnr e docente di Fisica del clima all’università di Roma Tre, lancia l’allarme. Gli esperti insistono sul fatto che il cambiamento climatico incida maggiormente nelle zone fragili. E l’Europa non sta messa bene. Il Mediterraneo, l’Europa, sono chiamati l’hot spot, il punto caldo critico per i riscaldamenti climatici. «Risentiamo di un aumento delle temperature come in tutto il mondo ma è cambiata addirittura la circolazione dei venti nell’aria. Si è spostata verso nord la circolazione equatoriale e tropicale: vuol dire che questi anticicloni che stavano stabilmente nel deserto del Sahara arrivano nel Mediterraneo e nell’Europa centrale. Il territorio si surriscalda tantissimo con ondate di caldo e siccità».
Ora la circolazione di aria fredda va da nord a sud e viceversa. Mentre una volta il colonnello Bernacca parlava dell’anticiclone delle Azzorre, cuscinetto stabile che veniva da ovest. «Ora questi nuovi anticicloni non hanno la forza di rimanere su di noi, quando si ritirano lasciano correnti fredde da nord che fanno contrasto con l’aria calda persistente». E generano i fenomeni estremi che si stanno verificando in Europa, alluvioni e disastri, imprevedibili. «Precipitazioni dovute a contrasti termici. Il Mediterraneo si è surriscaldato, il mare evapora molto più e in forma di acqua di mare crea più nubi e vapori acquei che si trasformano in nuvole e pioggia. Inoltre il mare caldo fornisce calore all’atmosfera ed è altra forma di energia che si scarica sui territori sottostanti. Tutto quel che è successo negli ultimi mesi nell’Europa centrale, dalla Germania all’Austria, dal Belgio alla Polonia, fino alla Spagna. Nonché all’Emilia Romagna e alla Toscana». Il Mediterraneo surriscaldato ormai è chiaro a tutti ha reso più violenti questi fenomeni, come il ciclone Boris che ha piegato l’Europa centrale e l’Emilia Romagna. Devastazioni, con morti e territori distrutti, che per Pasini è ora di fronteggiare. Alla luce di un mare - anche l’Adriatico - estremamente caldo (2 o 3 gradi in più rispetto alla media) e pieno di “energia”. Un pericolo. «Anche a Valencia il mare caldo ha fatto la sua parte. I flussi di aria hanno fatto staccare la goccia di acqua fredda che è scesa più a sud e poi è scesa più a sud per poi ritornare indietro. Passata sull’entroterra marocchino e il Mediterraneo si è arricchita di umidità ed energia».
Gli anticicloni africani riscaldano il mare, che diviene fattore cruciale nello scatenare questi eventi estremi. L’unico comune denominatore. Lo Stivale in “mezzo” al mare rischia più di altri Paesi. «L’Italia è molto a rischio. Con l’Appennino molto franoso che si imbeve d’acqua su strati di argilla. Con le valli alpine molto strette e con fiumi a regime torrentizio secchi d’estate. Quando arrivano queste precipitazioni violente non puoi far niente. Anche alcune nostre città sono fragili come Genova, Messina, dove hanno “tombato” fiumiciattoli e torrenti fuori dalla città. Anche questo un problema, oltre agli eventi estremi».
LE MISURE
«Cosa dobbiamo fare? Da un lato il clima ha una sua inerzia: non torniamo indietro, queste temperature ce le teniamo per il futuro - riflette l’esperto del Cnr - Occorre rendere resilienti le nostre città, adattarci, valorizzare gli spazi verdi, dar spazio ai fiumi di esondare specie a monte delle città. L’idea di irreggimentare le acque è supponente, dobbiamo usare le cosiddette soluzioni basate sulla natura. E armonizzare le nostre infrastrutture, con una serie di misure, evitare la crescita delle temperature con la cosiddetta mitigazione climatica diminuendo drasticamente le nostre combustioni fossili e la deforestazione». Il rischio è alto. Un futuro dove «non riusciremo a difenderci». Per evitare si arrivi a un punto di non ritorno «dobbiamo gestire l’inevitabile con l’adattamento e evitare l’ingestibile, con la mitigazione». Sul cambiamento climatico è fissata tra 10 giorni la conferenza Baku29 della Nato. Il rapporto del segretario esecutivo delle Nazioni Unite sulla pubblicazione dei contributi a livello nazionale del 2024 valuta l’impatto combinato degli attuali piani climatici nazionali sulle emissioni globali previste nel 2030. Le conclusioni sono nette ma non sorprendenti: gli attuali piani climatici nazionali sono lontani anni luce da quanto necessario per impedire al riscaldamento globale di paralizzare ogni economia e distruggere miliardi di vite e mezzi di sostentamento in ogni paese.