«Ci simm fatt pur 'o pescator». Romolo Ridosso, ex collaboratore di giustizia del clan scafatese dei Loreto-Ridosso, borbotta tra sè e sè queste parole di rientro da un colloquio segreto, appena qualche giorno dopo il delitto Vassallo. Ha incontrato Lazzaro Cioffi e Giuseppe Cipriano all’esterno della sua villetta di Lettere. Il sindaco è stato ucciso, in Italia non si parla d’altro. E lui, Romolo Ridosso borbotta quella frase. Un ruolo centrale quello del boss sin dall’inizio di questa storia. A contattarlo sarebbe stato proprio Cipriano, imprenditore che ad Acciaroli aveva avuto in gestione un cinema, e che si era poi «riciclato» in altra attività imprenditoriale come la gestione di distributori di benzina. Un affare messo in piedi dal carabiniere «disonesto» Lazzaro Cioffi e che faceva gola anche a Ridosso, ormai fuori dai circuiti scafatesi. Il loro piano era semplice: avviare una rete di affari reinvestendo i proventi della droga nell’acquisto di distributori di benzina così da «fare concorrenza ai casalesi». E così quella frase, borbottata da Ridosso nel rientro a casa, viene captata dalla sua compagna Antonella Mosca che era affacciata alla finestra a fumare una sigaretta. È questo uno dei punti centrali dei verbali dell’inchiesta sull’omicidio del sindaco pescatore.
Ad incastrare Ridosso, oltre alle dichiarazioni della sua compagna, anche quella di due detenuti che avevano con lui condiviso il carcere a Sollicciano: Eugenio D’Atri e Francesco Casillo. Sono loro a raccontare ai magistrati salernitani, e in prima persona al procuratore capo Giuseppe Borrelli, quanto appreso da Ridosso durante la detenzione. Racconti fatti l’uno di seguito all’altro e trovati perfettamente combacianti dagli investigatori. Quindi, credibili. Dall’odio che Romolo Ridosso aveva nei confronti della compagna che lo aveva denunciato per maltrattamenti e poi lo aveva incastrato nell’omicidio Vassallo, alla sua partecipazione all’agguato al sindaco di cui conosceva i retroscena. È proprio D’Atri, in carcere per associazione mafiosa e omicidio relativamente a fatti criminali di Somma Vesuviana, a raccontare dei rapporti tra Ridosso e Cioffi, da lui chiamato «Marcolino», e legati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Ridosso confida che nell’omicidio c’entrano anche i carabinieri e dei timori che la sua auto potesse essere stata ripresa dalle telecamere ad Acciaroli in quanto avrebbe fatto un passaggio in zona pedonale. Dichiarazioni rafforzate poi dal racconto della Mosca la quale ha parlato di una «visita non propriamente di cortesia» che il suo compagno ricevette a casa a metà settembre 2010, dopo l'omicidio del sindaco di Pollica Angelo Vassallo. Ridosso, secondo il racconto della donna, aveva paura di uscire di casa in quel periodo ma quando Cioffi si presentò insieme ad un’altra persona «più bassa e tarchiata», poi identificata come Cipriani, subito dopo aver parlato con loro, sembrava più sereno.
L'arresto del colonnello dei carabinieri
Fabio Cagnazzo aveva paura di «perdere l’onore». Sarebbe stato questo, secondo gli inquirenti, il movente che lo avrebbe spinto ad organizzare l’omicidio di Angelo Vassallo, pronto a denunciarlo il 6 settembre 2010 ai carabinieri di Agropoli. Per questo la sera prima fu ucciso. Cagnazzo, assieme a Cioffi, avrebbe gestito il traffico di droga nell’area cilentana approfittando della collaborazione degli imprenditori turistici Palladino che gli avrebbero messo a disposizione un container sulla spiaggia. Per questo motivo avrebbe poi manipolato le indagini, a partire da quella cicca di sigaretta marca Lucky Strike trovata sul luogo del delitto sulla quale era comparso il suo genoma e che lui, in tutti in modi, aveva cercato di attribuire a Bruno Humberto Damiani. Le sue dichiarazioni, si legge nei verbali, relativamente alle accuse rivolte a Damiani, soprannominato il «brasiliano», non sarebbero state convincenti fin dal primo momento. «Alla luce della ricostruzione cronologica degli eventi - scrive il gip Annamaria Ferraiolo - risulta che l’ufficiale si sarebbe allontanato dal centro di Acciaroli per circa 23 minuti in concomitanza con l’esecuzione dell’omicidio senza essere in grado di ricostruire i suoi movimenti e poi intervenire sul luogo del delitto al momento del ritrovamento del cadavere, quindi che possa aver avuto contezza del delitto dopo la sua esecuzione ed essersi accordato con esecutori e mandanti per la relativa copertura solo dopo la realizzazione dell’evento criminoso non avendo, peraltro, per sua stessa ammissione, svolto alcuna indagine per individuare i colpevoli nel lasso di tempo tra la scoperta del cadavere e l’arrivo dei carabinieri di Salerno».
Il testimone chiave
C’è un racconto «chiave» nell’inchiesta sul quale gli inquirenti salernitani hanno lavorato molto, è quello di Pierluca Cillo, agente immobiliare di Acciaroli e amico di Angelo Vassallo. È lui a raccontare per la prima volta a Giusy Vassallo e all’allora fidanzato Francesco Avallone, dei timori del sindaco di essere ucciso e del suo «cambiar strada ogni volta che torno a casa» per paura. E questo perché aveva scoperto del traffico di droga riferito a Cagnazzo e a Cioffi. Confidenze che in un primo momento ha negato dinanzi ai magistrati fino a quando non è stato costretto a denunciare per aggressione il colonnello dell’Arma che lo aveva inseguito e picchiato in sul porto per le sue accuse che gli rivolgeva. Accuse che gli erano state raccontate proprio dalla figlia della vittima, con la quale aveva avuto un legame sentimentale e aveva un rapporto di amicizia. Era stata proprio la Vassallo a recarsi da lui, nel residence in cui era ospite, a chiedergli se ciò che Cillo raccontava fosse vero. Cioffi, presente alla discussione «sbiancò», raccontò la ragazza in procura mentre «lui si fece una grande risata». Cillo commentò anche con i due fidanzati di allora che il «cane è coperto e il primo palo sta inguaiato». Il riferimento sarebbe stato a Cagnazzo nel caso del cane, perché godeva della protezione del padre generale Domenico Cagnazzo e del generale dei Carabinieri e fondatore dei Ros Domenico Pisani.