Omicidio Vassallo, spiato sotto casa dal tuttofare di Fabio Cagnazzo: le accuse del superteste

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È una delle voci più genuine nel corso dell’inchiesta sull’omicidio di Angelo Vassallo. Non ha nulla a che fare con la camorra, non è un pentito. Si chiama Pietro Campo, vive ad Acciaroli ed era nipote del sindaco pescatore ucciso a settembre del 2010. Il suo racconto spinge il giudice a non avere dubbi: sette giorni prima del delitto di Vassallo - sabato 28 agosto - il brigadiere Lazzaro Cioffi, socio e collaboratore numero uno del colonnello Fabio Cagnazzo, era a pochi passi dalla casa del sindaco.

Era in una Audi nera A6, nella quale viaggiava assieme, probabilmente, all’imprenditore scafatese Giuseppe Cipriano (a sua volta parente di un boss degli scissionisti di Secondigliano). Un dato che conferma la pista del delitto premeditato, con almeno due ispezioni per studiare la zona, circoscrivere il luogo del raid, ma anche individuare eventuali telecamere. Il primo sopralluogo il 28 agosto, il secondo il tre settembre, due giorni prima l’omicidio del sindaco pescatore.

Sono alcuni punti di un’inchiesta culminata negli arresti, 14 anni dopo i fatti, del colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo, del suo militare di fiducia Lazzaro Cioffi, ma anche dell’ex boss salernitano Romolo Ridosso e dell’uomo d’affari Cipriano. Difeso dalla penalista Ilaria Criscuolo, il colonnello è in ospedale e oggi sarà interrogato dal gip Ferraiolo, dove si avvarrà della facoltà di non rispondere, avendo già sostenuto - lo scorso 15 gennaio - un interrogatorio di 11 ore dinanzi ai pm. Sono tanti i punti da approfondire, anche alla luce del «clima di omertà e reticenza» che si è abbattuto su Acciaroli un attimo dopo l’omicidio.

Le intercettazioni

Tra le testimonianze più forti, quella di Vaccaro, in passato sindaco di un comune cilentano e suo amico d’infanzia. Ricordate le sue parole? «Angelo mi disse di aver visto cose che mai avrebbe voluto vedere, che volevano portare la camorra nel Cilento, che avrebbe fatto di tutto per impedirlo». E ancora: «Angelo mi disse, che aveva paura, che aveva deciso di tornare a casa sempre prima della mezzanotte, di non fare più la stessa strada, che non si fermava mai a parlare con nessuno, neanche se incontrava un amico». Eppure, quel 5 settembre di 14 anni fa, Vassallo incontrò qualcuno che conosceva bene. Sono le 21.12 della domenica di fine estate, Vassallo è quasi sotto casa, la strada è dritta. Incontra un volto a lui noto, perché l’auto in cui verrà crivellato di colpi (ben nove proiettili esplosi) ha il finestrino abbassato sul lato della guida ed è leggermente spostata sul ciglio sinistro della strada. Come se fosse stato indotto ad accostare. Killer e vittima: uno sguardo, poi i colpi.

L’appostamento 

Ma torniamo al racconto di Pietro Campo, quello che dice di aver visto e riconosciuto Lazzaro Cioffi il 28 agosto a pochi passi dalla villa di Vassallo. È il 30 maggio 2019, quando Pietro Campo si fa avanti e parla con i pm. Il suo racconto, per quanto tardivo, viene confermato da un’intercettazione del 19 settembre del 2010, quindi pochi giorni dopo l’omicidio del sindaco, quando viene captata la conversazione di due sorelle. Parlano Anna Amendola, madre di Pietro Campo, che è al telefono con Angelina (vedova di Vassallo), a cui racconta la sorpresa provata dal figlio Pietro «a fine agosto, nel vedere in quella strada di campagna una macchina berlina nera. Ci siamo chiesti cosa ci facesse». Ed è ancora la donna a ribadire che in quell’auto c’era «una persona chiatta», fornendo l’identikit di Cioffi.

Il fantasma

Già, Cioffi. Difeso dall’avvocato Giuseppe Stellato, il braccio destro di Cagnazzo sembra un funambolo, a leggere le carte dell’inchiesta. C’è un capitolo che riguarda la sua capacità di inabbissarsi, almeno secondo l’analisi dei tabulati telefonici. In quell’estate del 2010 era in vacanza ad Acciaroli e per la notte del 5 settembre ha un alibi di ferro. Da sempre aveva rapporti telefonici con l’allora maggiore Cagnazzo e con il collega Luigi Molaro (la cui posizione è stata stralciata), ma c’è un buco nei rapporti tutto da spiegare: dal 27 agosto al 21 settembre (quindi quasi un mese), non c’è traccia di messaggi o di telefonate. Che fine ha fatto? Una domanda a cui risponde il testimone Eugenio D’Atri (compagno di cella di Romolo Ridosso): «Ridosso mi ha detto che dopo l’omicidio, Lazzaro Cioffi sparì dalla circolazione su ordine di Cagnazzo, a cui toccava il compito di dare inizio al depistaggio delle indagini». Ed è a partire da questo momento che il comandante dell’arma in vacanza ad Acciaroli si sarebbe messo a fabbricare un dossier contro il pusher italo brasiliano Bruno Huberto Damiani, quasi a volergli cucire addosso il vestito del colpevole perfetto. Ricordate la storia del depistaggio? Cagnazzo avrebbe prelevato il cd delle immagini di videosorveglianza in un negozio del centro di Acciaroli, fino a confezionare un collage di immagini teso ad incolpare Damiani (e a rimuovere ogni passaggio di Cagnazzo dal cono d’ombra delle telecamere); poi avrebbe fatto girare la voce - priva di riscontri - della lucidità di Damiani a gettare l’arma del delitto nelle acque del porticciolo di San Nicola dei Lembi. Accuse false, secondo il giudice.

La sigaretta

Ed è ancora nell’ambito della presunta azione di depistaggio o di inquinamento probatorio, che conviene tornare sulla storia della sigaretta (o delle sigarette) fumate dall’allora maggiore Cagnazzo sul luogo dell’omicidio. Nel 2016, viene trovata una Lucky Strike che viene ricondotta al comandante, grazie al Dna. Un particolare che va comunque ricondotto a quello che almeno due testimoni (tra cui il fratello del sindaco) sostengono a proposito delle ore successive il ritrovamento del cadavere: Cagnazzo raccoglieva cicche di sigarette e le metteva in un pacchetto; Cagnazzo spostava un bossolo con un ramoscello; Cagnazzo fumava un paio di sigarette tolte nervosamente dalle labbra dello stesso fratello del sindaco, per aspirare tabacco. Poi i mozziconi vennero gettati a terra. Un’azione di inquinamento? Ma torniamo al patto tra Cagnazzo e Cioffi.

L’assegno

All’epoca, il maggiore Cagnazzo non esitava a chiedere prestiti al suo subalterno Cioffi, il quale - a sua volta - lo avrebbe addirittura mandato dal titolare di una pompa di benzina e prestanome del clan Contini. Cagnazzo incassa l’assegno, secondo la ricostruzione del gip Ferraiolo. Ma c’è anche un altro passaggio legato alla questione economica o agli affari in comune tra ufficiale e appuntato. Siamo a Cimitile, poche settimane dopo l’assassinio di Vassallo, secondo la ricostruzione offerta da Romolo Ridosso, che sostiene di aver assistito a uno scambio di denaro tra Lazzaro Cioffi e Fabio Cagnazzo. Il pm incalza Ridosso, che conferma: «Eravamo in un negozio di animali a Cimitile, quando Lazzaro prese una busta gialla e andò a parlare con Cagnazzo. I soldi erano di Cipriano, l’imprenditore di Scafati. Per quale motivo Cagnazzo copriva Cipriano? Perché si pigliava soldi tramite Lazzaro Cioffi». Brutta scena, anche se non ci sono riscontri in merito alla busta gialla piena di soldi.

I pentiti

Clima di «omertà, reticenza e diffidenza» nella Acciaroli degli anni dieci, mentre dall’inchiesta del procuratore di Salerno Giuseppe Borrelli e dell’aggiunto Luigi Alberto Cannavale spunta un altro spaccato inquietante: «Quello dell’uso strumentale dei pentiti per trafficare la droga sulla rotta Acciaroli-Napoli». Come a dire: grazie a Cagnazzo, all’epoca al top dei reparti investigativi dell’Arma, i pentiti di camorra venivano nascosti e ospitati in alcuni alberghi di Acciaroli. Appartengono ai Palladino, imprenditori locali che erano a cena quella domenica notte in cui venne ucciso il sindaco (la cena dei gavettoni), che hanno trovato ristoro economico grazie alla commessa rappresentata dai collaboratori di giustizia. Ospiti segreti che, in linea teorica, avrebbero potuto anche rappresentare uno scudo per far viaggiare la droga. Ed è la pista degli stupefacenti il movente del delitto. La figlia del sindaco, Giuseppina Vassallo, riferisce agli inquirenti che il fidanzato aveva appreso dall’agente immobiliare Pierluca Cillo, negli ultimi tempi assiduo frequentatore di Vassallo, che «Cagnazzo faceva mettere quantitativi di stupefacenti all’interno delle valigie dei collaboratori di giustizia ospitati in strutture di Acciaroli» che poi finivano nel garage indicato, vicino al mare. Cillo è un personaggio noto di questa inchiesta. È il primo ad accusare, anche pubblicamente Cagnazzo, che lo aggredisce e lo malmena vicino al porto di Acciaroli. Non tutte le sue accuse, ovviamente, sono confermate dai fatti, ora si attende la sua versione nel corso di un probabile processo.

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