Via libera da Palazzo Chigi alla norme che in qualche modo disinnescerà future decisioni dei magistrati in merito alla lista dei Paesi considerati sicuri, che ora comprende 19 Stati: blindati gli hotspot in Albania
Dopo la sentenza di venerdì 18 ottobre del tribunale ordinario di Roma, che aveva consentito l'ingresso in Italia dei 12 migranti inviati in Albania - venendo contro di fatto smontando al piano di Giorgia Meloni di portare nel Paese balcanico una parte di migranti salvati in acque internazionali - ecco arrivare la contromossa del governo italiano con un apposito annunciato Consiglio dei ministri convocato in tempi strettissimi, anche in vista del completamento delle espulsioni e dei rimpatri.
Da Palazzo Chigi, infatti, viene licenziato un decreto con il quale, sostanzialmente, viene "scavalcato" il verdetto emesso tre giorni fa nella Capitale, conferendo il rango di norma primaria al decreto comprendente l'elenco dei Paesi sicuri, il quale fino ad oggi era compreso soltanto all'interno di un semplice decreto interministeriale. Da adesso in poi, quindi, non verranno più lasciati grandi margini di manovra ai giudici. Senza contare che, nello stesso dl, viene prevista anche l'introduzione di un secondo grado di giudizio per le sentenze sul trattenimento dei migranti.
"Siamo arrivati a questo punto a seguito di una sentenza della Corte di giustizia europea che non è stata ben compresa. In altre parole questa sentenza, oltre a ribadire il principio che è compito degli Stati individuare quali siano gli Stati sicuri, pone poi delle condizioni nel momento in cui un giudice intenda dare una definizione diversa di Stato sicuro in merito alla situazione di determinate persone", ha dichiarato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, in conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo il via libera in Cdm al dl recante "disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale". Ecco perché l'eventuale correttezza della decisione dei giudici sui migranti in Albania "si vedrà in sede di impugnazione".
Ricordando come la lista dei Paesi considerati "sicuri" compresa nel decreto "comprende 19 Paesi, in luogo dei 22 previsti" (sono stati esclusi Camerun, Colombia e Nigeria rispetto alloriginaria determinazione), il nocciolo di questa sentenza è che il giudice "deve, nel momento in cui si pronuncia, dire in maniera esaustiva e completa, nel caso di specie, quali siano le ragioni per cui per quell'individuo quel determinato Paese non è ritenuto sicuro. Nelle motivazioni dei decreti al centro del dibattito in questi giorni" questo manca. Secondo il Guardasigilli, inoltre, questi soggetti "sono di cittadinanza incerta, quindi si devolve all'arbitrio di queste stesse persone le definizioni dei parametri di sicurezza o meno del Paese da cui provengono", ha aggiunto. In definitiva: "Se l'elenco dei Paesi sicura si trova in una legge, nessun giudice può disappliccarla".
La nuova norma va dunque a incidere sui due punti più vulnerabili del precedente documento: la lista dei Paesi sicuri e le sentenze sul trattenimento dei migranti. Due scatti in avanti su questi due fronti quasi inevitabili per l'esecutivo nazionale di centrodestra. Il giudice in questione, in particolare, non aveva convalidato i decreti di trattenimento emanati dalla Questura di Roma: atti aventi forza di legge previsti proprio dal documento con cui si è data attuazione agli accordi con Tirana, secondo cui possono rimanere nei campi costruiti in Albania solo i migranti che provengono da Paesi sicuri.
Secondo il tribunale capitolino tali decreti di trattenimento non potevano essere convalidati perché i migranti presenti nelle strutture albanesi non provenivano, per l'appunto, da Paesi sicuri. E nell'indicare i contorni di questo concetto, il giudice ha fatto leva sulla sentenza dello scorso 4 ottobre della Corte di Giustizia europea, secondo cui è possibile considerare un Paese sicuro solo se le proprie istituzioni rispettano due grandi parametri: sicurezza in tutto il territorio e sicurezza garantita a tutti i suoi abitanti.
Il tutto è accaduto al termine di un finesettimana che ha visto la premier reagire alla mail del sostituto procuratore generale in Cassazione Marco Patarnello - che aveva definito Meloni "più pericolosa di Berlusconi" - nonché nella stessa giornata in cui sono giunte due notizie importanti dall'Europa che danno manforte all'azione del governo italiano. La prima riguarda il rigetto da parte dell'assemblea plenaria di Strasburgo di aggiungere due dibattiti sull'accordo fra Italia e Albania sulla gestione della migrazione e sulla sentenza del Tribunale di Roma che ha annullato il trasferimento dei migranti nel centro di accoglienza di Shengjin, così come invece era stato proposto dai Verdi e da Renew Europe.
La seconda è la certificazione sancita dalla portavoce della Commissione europea per gli Affari interni, Anitta Hipper, per cui "il protocollo Italia-Albania applica il diritto nazionale". A questo discorso viene aggiunto che la sentenza del Tribunale di Roma si riferisce "al concetto di Paese di origine sicuro e a come viene implementato. Questo è anche il fatto che da parte nostra, per ora, non abbiamo elenchi comuni dell'Ue a questo proposito. È qualcosa che è anche previsto e su cui dovremo lavorare. Gli Stati membri stanno hanno elenchi nazionali", viene chiosato.
Concetto ribadito anche dal ministro Matteo Piantedosi: "Dal giugno 2026 entra in vigore il nuovo regolamento che prevederà addirittura la individuazione dei Paesi sicuri con esclusivo riferimento alle condizioni percentuali statistiche di approvazione delle domande a livello europeo, attestandole sotto il limite del 20%".