Rivolte, costi, giudici pro migranti. Quello che il dossier sui Cpr non dice

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Il report "Trattenuti" mostra una fotografia impietosa. Ma glissa sui problemi dei centri per i rimpatri e il vero obiettivo del governo: efficientare le strutture anziché considerarli "non luoghi" nelle mani di cooperative senza scrupoli

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La fotografia è impietosa. E per questo andrebbe letta senza inforcare gli occhiali dell'ideologia; cosa che invece è immediatamente capitata. Non appena sono iniziati a piovere sulle agenzie di stampa i dati del report "Trattenuti", prodotto da ActionAid e dal Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università di Bari che descrive la realtà di alcuni Cpr italiani, i numeri sono stati stirati su misura a seconda delle esigenze politiche. A partire dalla stessa Ong: che per bocca di Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid, sostiene che i Cpr in Italia "appaiono come modello di disumanità, gestione incontrollata e fallimentare, ma comunque sono il modello dei nuovi centri di trattenimento in Albania targati Governo Meloni". Sintesi che estremizza la realtà e riduce un'operazione complessa, come la gestione del fenomeno migratorio, a una dichiarazione di colpevolezza dell'esecutivo.
Distinguendo i fatti dalle opinioni, proviamo a far chiarezza partendo proprio dalle Conclusioni del report, dove si può leggere l'amara verità: il modello fu istituito nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano con il nome di C.P.T. (Centri di Permanenza Temporanea), poi chiamati C.I.E. (Centri di Identificazione ed Espulsione) dalla Bossi-Fini del 2002, e infine C.P.R. (Centri di Permanenza per i Rimpatri) dalla Minniti-Orlando del 2017. Il governo Meloni, nel 2023, ha iniziato a ripensare questo "modello" con il decreto Cutro: efficientando i Cpr, anziché considerarli "non luoghi" spesso nelle mani di cooperative senza scrupoli e perfino multinazionali.

Indubbio: in passato non hanno funzionato. Scandali e fughe all'ordine del giorno e talvolta capita ancora. Peccato, però, che ActionAid glissi sul perché nel 2023 sia stato rimpatriato dai Centri "solo il 10% delle persone con provvedimento di espulsione, 2.987 su 28.347". Molti lo lasciano prima del tempo. Fuggono, o magari un avvocato messo a disposizione da associazioni contrarie ai Cpr riesce a convincere un giudice del fatto che per qualche ragione hanno diritto a restare in Italia. ActionAid denunciare una forma di "detenzione". L'obiettivo del governo è invece un altro: lavorare in sede europea e in Paesi terzi per accelerare le espulsioni, certo tenendo in piedi i Cpr come argine a strade ancor più piene di migranti illegalmente presenti. La Ong spera invece che "vengano dichiarati incostituzionali" auspicando in sostanza una regolarizzazione di massa.

Facendo i conti, 50mila gli stranieri transitati dal 2014 al 2023 nei Cpr nella "invivibilità degli spazi" e costi elevati. L'esecutivo ha già adattato il sistema: con il nuovo hub in Sicilia per il "trattenimento leggero" (senza filo spinato), da cui parte il 54% dei rimpatri, perlopiù tunisini. Perfino il sindaco di Milano Sala, in piena polemica sulla sicurezza, disse a maggio che gli immigrati che delinquono vanno espulsi, chiedendo di smetterla di dare la colpa ai sindaci. Tra il dire e il fare c'è di mezzo proprio un Cpr (il secondo, pianificato dal ministro Piantedosi per Milano, il primo è commissariato per mala gestio privata). Un'altra via? Chiudere un occhio e far scappare gli immigrati. È successo migliaia di volte in passato a governi di ogni colore, facendo imbestialire Francia e Germania. Qualcuno è diventato pure un terrorista. Ecco perché Piantedosi insiste: su 12 Cpr, almeno 10 quelli funzionanti. Parigi usa lo stesso metodo "amministrativo".

Indiscutibili i costi: quasi 93 milioni spesi dal 2018 al 2023: 33 per manutenzione, di cui più del 76% per sanare danneggiamenti post rivolte. Resta il caos nei bandi, che il governo sta passando ai Raggi X. Prima il business della gestione veniva lasciato stare. Chissà perché.

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