Due indizi non faranno una prova. Ma non guidare più la Sardegna e l’Umbria (con Solinas non più candidato e la Tesei sconfitta), restano indizi che difficilmente Matteo Salvini potrà ignorare. La Lega ha un problema al Centro-Sud? La domanda si è fatta strada come un brusio di fondo tra i dirigenti del partito man mano che il Carroccio ha perso voti e terreno sotto il Po negli ultimi anni. Ora è un frastuono che cresce.
I RISULTATI
Due regioni su due, in quota Lega, sono tornate al centrosinistra nell'anno che sta per chiudersi. Le uniche due regioni perse dalla maggioranza. Tessere, voti, consensi. Se mai il Carroccio è riuscito a trovare il tocco magico per conquistare i cuori anche sotto il Po, quel tocco sembra oggi meno riconoscibile. Pensare che Salvini non ha mai abbandonato il sogno. Addio ampolle sacre e strali contro “Roma ladrona” di bossiana memoria, benvenuta Lega nazionale dalle Alpi alle Eolie. È la ricetta inaugurata dal “Capitano” ai tempi del governo gialloverde, quando un italiano su tre gli dava fiducia alle urne e Palazzo Chigi sembrava a un passo. Difesa con convinzione dal segretario fino ad oggi, con buona pace dei malumori di un pezzo della vecchia guardia e la faglia sempre più profonda scavata tra la “sua” Lega e quel che resta della Lega dell’Umberto, nostalgica, ampiamente minoritaria, fedele al verbo del Senatúr. Ora però i numeri impongono una riflessione a via Bellerio. Prima la doccia fredda delle elezioni politiche due anni fa, la Lega che scende sotto la doppia cifra e paga il successo di Fratelli d'Italia, questo sì da Nord a Sud. Poi le Europee, il consenso nel Meridione salvato in calcio d'angolo con la candidatura di un outsider, il generale Roberto Vannacci, il Parà del Mondo al contrario. Ora le Regionali d'autunno chiuse con un nuovo inciampo. E la domanda che si impone: può ancora questa Lega trainare consensi in tutta Italia? O ha senso tornare alle origini, puntare le fiches sul Nord produttivista dove è iniziata l'epopea di Alberto da Giussano? Di passi indietro Salvini finora non ha voluto saperne. Convinto di aver imboccato sei anni fa una strada che non ammette inversioni a U: un partito su scala nazionale, a immagine e somiglianza del suo leader. È ancora convinto che sia questa la direzione giusta. Lo dimostra la battaglia sui migranti e gli sbarchi illegali (in forte calo) giocata ora molto più nel Centro-Sud che nelle roccaforti settentrionali. Di questa è corollario la sfida ai giudici sull'emergenza migratoria, lo scontro senza esclusione di colpi ingaggiato sul caso Open Arms a Palermo dove rischia una dura condanna per sequestro di persona. Certo c’è l’Autonomia, battaglia nordista e leghista per eccellenza, che però ha subito un duro colpo dalla sentenza della Cassazione. Senza contare le nomine: il refresh dei vertici del partito, con l'incarico di vicesegretario federale al fedelissimo Claudio Durigon, braccio destro nato e cresciuto a Latina, è in piena linea con il percorso tracciato finora.
LA STRATEGIA
Dunque, che fare? Salvini prende tempo. Di rinunciare al grande progetto della Lega nazionale, battezzato con il cartello elettorale “Noi con Salvini”, neanche a parlarne. Certo della doppia caduta di Solinas e Tesei si dovrà tenere presente nelle prossime mosse a via Bellerio. Che ultimamente guardano tutte, e non è un caso, al Settentrione. Parafrasando Zucchero, il partito rotola (di nuovo) verso Nord. Dove la militanza e i dirigenti fremono, talvolta ribollono. C'è il cruccio dell'attesissimo congresso in Lombardia tra fine novembre e inizio dicembre, per cui Salvini molto ha lavorato nelle retrovie scongiurando strappi e tensioni. Correrà come candidato unico Massimiliano Romeo, fedele al capo ma anche capace di intercettare i favori della vecchia guardia lumbàrd che mal tollera il nuovo corso leghista. Poi, all'orizzonte, le regionali in Veneto, il discreto tiro alla fune con Fratelli d'Italia per decidere chi metterà la faccia sul dopo-Zaia. C'è soprattutto, dopo il voto di ieri, una cartina politica da ridisegnare. Dall'Umbria in su.