Come da copione, ha ammesso l’evidenza. Ha confessato di aver fatto fuoco, ma ha negato di aver capito di aver ucciso un ragazzo di 19 anni. Ha spiegato di essere scappato da San Sebastiano al Vesuvio, per raggiungere la zona dei baretti di Chiaia, dove si è disfatto della scheda sim, per evitare di essere intercettato. Eccolo Luigi, il 17enne responsabile dell’omicidio di Santo Romano, il calciatore di 19 anni ucciso lo scorso week end nella piazza principale del comune vesuviano. Un’ora davanti al gip del Tribunale per i minori Anita Polito, per ribadire la sua visione dell’ultimo orrore metropolitano: «Sì, è vero, ho fatto fuoco, ma non volevo uccidere, né ho realizzato di aver ucciso quel ragazzo».
Difeso dal penalista Luca Raviele, aggiunge: «C’è stata una lite. Mi hanno calpestato il tallone, ma è funita lì. Sono tornato in auto, quando ho visto venire contro di me quel ragazzo alto accanto a un paio di amici. Mi ha lanciato una pietra che ha colpito l’auto, poi mi hanno anche afferrato per un braccio, ho impugnato la pistola e ho fatto fuoco». Una ricostruzione al vaglio del pm dei Colli Aminei Ettore La Ragione, anche alla luce di un filmato che racchiude la scena del presunto lancio dell’oggetto contro la Smart del 17enne.
Doveroso un chiarimento: se è accertato che Santo si sia avvicinato all’auto di Luigi, non è possibile capire cosa quest’ultimo gli abbia detto. Minacce di morte che hanno spinto Santo a muoversi verso la smart di Luigi? Verifiche in corso. Intanto, a margine della convalida del fermo, si fa sentire la famiglia dell’assassino reo confesso. E lo fa con una lettera affidata all’avvocato Raviele. In sintesi, i genitori di Luigi chiedono «scusa e perdono» alla famiglia di Santo Romano attraverso una lettera manoscritta, diffusa dall’avvocato Luca Raviele. Oggi alle 16 a Casoria, i funerali di Santo Romano.
I genitori
«Chiediamo scusa e perdono per ciò che ha fatto nostro figlio, per il dolore terribile che vi è stato inflitto, per la tragedia che state vivendo. Perdere un figlio è una cosa inaccettabile, inspiegabile, un dolore che vi accompagnerà per tutta la vita – si legge nel manoscritto sui due fogli – nostro figlio ha distrutto la vostra famiglia, ma anche la nostra».
Poi tocca alla madre di Luigi: «Siamo una famiglia umile, mio marito lavora, abbiamo un camion dei panini, i nostri figli sono stati cresciuti in una famiglia normale, di lavoratori. Io sono la mamma – si legge ancora nella lettera scritta con la penna blu – non sono una pregiudicata, e né affiliata ai clan. Mio figlio è stato sempre curato e seguito – evidenzia la donna – da piccolo dalla neuropsichiatra infantile. Due anni fa, diventò ingestibile. Subito sono stati presi provvedimenti, con i servizi sociali, ma rifiutava medicine e visite». Intanto, è stata la procuratrice Maria De Luzenberger, attorniata dai microfoni, a ricordare che il minore era stato detenuto a Nisida, «dimostrandosi capace di intendere e di volere».
I complici
Proseguono le indagini condotte dai carabinieri della sezione operativa della compagnia di Torre del Greco, coordinate dalla Procura per i Minorenni di Napoli e dalla Procura di Nola. Insieme al 17enne, come anticipato dal Mattino, ora è indagato per concorso in omicidio anche A.D.L., il 18enne di Barra che è stato identificato come il ragazzo in compagnia del minorenne armato. Gli investigatori stanno ricostruendo eventuali responsabilità da parte del maggiorenne nella detenzione dell’arma e nell’azione di fuoco, così come eventuali complicità nella fuga del giovanissimo killer, che per oltre 12 ore è stato irreperibile. Approfondimenti riguardano anche l’eventuale coinvolgimento di rampolli legati alla criminalità organizzata del quartiere Barra (quelli legati ai Valda-Aprea, a loro volta coinvolti nell’omicidio dell’innocente Francesco Pio Maimone), così come l'esaltazione dell'utilizzo di armi che spesso mostrata sui social dai due giovani indagati e dal gruppo di amici.
Il vomito
Al netto delle ammissioni rese da Luigi, restano dei punti oscuri: dove ha gettato la pistola? E chi sono i suoi complici protettori? Non risponde, ma si limita a chiarire: «Quando sabato mattina ho acceso il cellulare, collegato al wifi, perché la scheda l’avevo buttata in zona baretti, ho scoperto di aver ucciso quel ragazzo. Mi è salita l’ansia e ho vomitato sangue».