C’è una domanda che forse vale la pena porsi. È se davvero con la Pubblica amministrazione fare la “fila digitale” sia più rapido ed efficiente che mettersi in coda, come un tempo, in un ufficio pubblico. Detto in altri termini, se uno smart working “spinto” migliori o peggiori i servizi che Comuni, ministeri e agenzie fiscali sono chiamati a erogare. La prospettiva del ritorno all’ufficio dentro casa questa volta dipende non dalla pandemia, ma dalla preoccupazione per l’afflusso di milioni di fedeli nella Capitale per il Giubileo che rischiano di affogare il centro cittadino, sede tra l’altro dei più importanti ministeri. Dipendenti pubblici a casa dunque, e una moral suasion per convincere i privati a fare altrettanto. Ma, per tornare alla domanda iniziale, con quali effetti sui servizi pubblici? Qualche mese fa Elbano De Nuccio, presidente del Consiglio dell’ordine dei commercialisti, aveva lanciato dagli Stati generali della categoria, un appello perché lo smart working dei dipendenti dell’Agenzia delle Entrate fosse «rimodulato». Il lavoro agile “spinto” dei dipendenti pubblici del Fisco poteva andare bene durante la pandemia, quando la notifica delle cartelle era sospesa. Ma nel momento in cui c’è da recuperare pure l’arretrato lavorare da casa funziona meno. Le pratiche fiscali sono burocraticamente atti spesso complessi, non sempre semplici da gestire tra un caffé e una pausa pranzo. Lo stesso vale per le pratiche edilizie. Anche i costruttori dell’Ance erano stati tra i più critici contro la serrata degli uffici.Ma il punto è anche un altro. Tutte le regole sullo smart working nel pubblico impiego sono state introdotte con una postilla: «non ridurre la qualità e l’efficienza dei servizi».
Capire se davvero è così, però, è tutt’altro che semplice. L’unica analisi disponibile è stata commissionata dal Dipartimento della Funzione pubblica al Cervap, il Centro di ricerca sul Valore pubblico. Sotto la lente sono stati messi i Pola, i Piani organizzativi sul lavoro agile, del 2021-2023. Il quadro che ne è uscito non è proprio rassicurante. I contenuti sulle “performance organizzative”, ossia sui risultati ottenuti dagli uffici attraverso il lavoro agile, sono stati giudicati «gravemente insufficienti e quindi da rivedere». C’è una scarsa sensibilità e competenza delle amministrazioni pubbliche, spiega il rapporto, in merito alla rilevazione degli effetti esterni dello smart working. È come dire che la qualità dei servizi non è un fattore di interesse per gli uffici che utilizzando il lavoro agile. In questo pesa anche la difficoltà della Pubblica amministrazione, e soprattutto della sua dirigenza, a lavorare per obiettivi.
IL PASSAGGIO
Ma c’è un altro problema che, prima o poi, è destinato ad emergere con forza nelle politiche di smart working della Pubblica amministrazione. Si tratta della differenza, o si potrebbe dire della discriminazione, tra lavoratori che possono esercitare i loro compiti da casa e chi, invece, è costretto a recarsi sul luogo di lavoro. Il punto è che di questa seconda categoria fanno parte quelli che il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha definito i «volti della Repubblica». Sono i medici, gli infermieri, i poliziotti, i carabinieri, gli insegnanti e chiunque ogni giorno è obbligato a recarsi in presenza. Secondo l’ultima relazione del Cnel sui servizi pubblici, nella Sanità solo l’8,2 per cento del personale ha avuto accesso al lavoro agile. E nei Comuni la percentuale ha oscillato tra il 14 e il 21%. Prendiamo il caso dei vigili urbani. Sono esattamente nello stesso comparto dei dipendenti comunali che, durante il Giubileo, avranno diritto a uno smart working totale. Mentre i loro colleghi staranno a casa, loro dovranno stare per strada a fronteggiare l’impatto dei pellegrini. Il rischio concreto è che questi tipi di lavoro vengano sempre più percepiti come disagiati dai giovani. Già accade in realtà, vista la difficoltà a reclutare infermieri e persino i medici. Ma anche poliziotti, carabinieri, guardie penitenziarie. In un modo in cui il lavoro da remoto diventa la regola e quello in presenza l’eccezione, si rischia seriamente che una intere categorie di impiego pubblico diventino poco attrattivi alimentando fenomeni di fuga. Ma per il funzionamento di uno Stato perdere poliziotti, infermieri, medici, e persino le Forze Armate, sarebbe come per un’automobile perdere il suo motore.