Tartufi, prezzi a 4 mila euro al chilo: Stagione d?oro, il bianco muove 250 milioni di euro

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Quest’inverno ci sarà tempo fino a tutto gennaio per gustare – potendo – il tartufo bianco. I cambiamenti climatici stanno infatti influendo anche sulla più preziosa delle eccellenze italiane e così i trifolai sono stati autorizzati alla ricerca fino a 31 gennaio (solitamente metà-fine dicembre). «Ottobre – spiega Luigi Dattilo, a capo di Appennino Food, la maggiore azienda del settore con circa 20 milioni di giro d’affari – era tradizionalmente il mese migliore per il giusto freddo e per la nebbia che avvolgeva i terreni. Adesso è tutto spostato in avanti». Ad Alba (Piemonte) la più importante fiera mondiale del tartufo è comunque iniziata la settimana scorsa (fino all’8 dicembre, salvo spostamenti). «Scarsa la quantità, ottima la qualità, onesti i prezzi a differenza di altri anni in cui a parità di disponibilità, i valori economici erano molto più alti», sintetizza Dattilo.

L’ultima quotazione ufficiale del tartufo bianco d’Alba è ferma mediamente sui 4.000 euro al chilo per pezzature tra i 15 e i 20 grammi. Ancora più contenuti i prezzi alla Borsa del tartufo di Acqualagna: 1.600 euro al chilo per prodotti sotto i 15 grammi, 2.500 tra i 15 e i 50 grammi, 3.200 oltre i 50 grammi. In linea le altre principali aree di raccolta, Emilia, Toscana, Umbria, Abruzzo. Nel complesso le previsioni per la stagione sono buone per un settore che in Italia per il solo Tuber Magnatum Pico, cioè il bianco, muove un giro d’affari di 250 milioni di euro, con una enorme frammentazione imprenditoriale e alcune realtà che esportano più del 50% della produzione. Tant’è che grande è l’interesse del mondo della finanza ad entrare in una nicchia di così alta immagine per il made in Italy. Il big è l’umbra Urbani che nel 2024 si avvia a superare i 100 milioni di giro d’affari, con una fortissima presenza nella grande distribuzione grazie a prodotti economici derivati dalle lavorazioni di sintesi. Rigorosamente naturali, invece, le altre due aziende leader, di dimensioni pressoché analoghe intorno ai 20 milioni di euro (Appennino Food e la piemontese Tartuflanghe).

LE NUOVE REALTÀ

Intanto stanno nascendo alcune nuove realtà. Il fondo di private capital Italian Fine Food nel giro di pochi mesi ha comprato la quasi totalità azionaria della storica azienda toscana Savini (10 milioni giro d’affari, il 65% all’estero) e, sempre in Toscana, della Stefania Calugi Tartufi (6,48 milioni di euro nel 2023). Indiscrezioni parlano di altre operazioni finanziarie in dirittura d’arrivo. «Il mercato produttivo italiano – afferma Dattilo – è il maggiore al mondo. Ma ormai dobbiamo fare i conti anche con Croazia, Slovenia, Serbia, considerandoli però non avversari, ma collaboratori. Sapendo che la sfida si vince non sul prezzo, ma sulla qualità e sulle migliori caratteristiche organolettiche dei terreni in cui matura il tuber». «La concorrenza – aggiunge - deve essere uno stimolo anche a raccontarci meglio. Non dimentichiamo che la pratica italiana del “Cerca e cavatura del tartufo” è stata riconosciuta dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità». Aperta la fiera di Alba, sarà tra poco la volta degli altri maggiori appuntamenti del settore, iniziando con Acqualagna, nelle Marche, da sabato e fino al 10 novembre. In novembre apriranno i saloni a Città di Castello (Umbria), San Giovanni d’Asso (Toscana) e in dicembre a L’Aquila. C’è, insomma, da aspettare ancora qualche settimana per avere il quadro completo della situazione e dei prezzi in un anno in cui «tutto considerato – spiega Dattilo – il meteo è stato sostanzialmente uniforme in tutte le aree di raccolta». Sulla riduzione delle quantità non pesano però solo i cambiamenti climatici. «È vero – si è sfogato con Winenews Paolo Topi, presidente dell’Associazione nazionale conduttori tartufai di Acqualagna - che le temperature sono state elevate e anche la mancanza di neve in inverno può aver influito, ma le cause non sono solo queste. Occorre legiferare sul tema, in particolare sul taglio dei boschi e la gestione del territorio, perché la scarsa manutenzione delle aree più vocate porta a questo: il fungo in contesti di degrado nasce con meno facilità».

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