Dopo che il 6 gennaio 2021 tutto sembrava perso per Donald Trump, la nottata di mercoledì ha mostrato una rinascita che nessuno, neppure i più raffinati analisti, si aspettavano. Almeno in questi termini, con la conquista delle minoranze afroamericane e ispaniche, di tutti gli stati in bilico, delle donne e del voto dei giovani. E così con davanti una mappa degli Stati Uniti rossa più che mai, Trump torna alla Casa Bianca vincendo non solo con buoni numeri il voto elettorale ma anche - e non succedeva da George W. Bush nel 2004 - quello popolare, con più di 70 milioni di voti contro i 66 milioni di Kamala Harris. La nuova America di Trump è tutta scritta in una promessa che si è affiancata all’ormai classico slogan «Make America Great Again», e racconta agli elettori che solo lui aggiusterà questa America, «I will fix it», dice.
«Dio mi ha risparmiato per un motivo» dice alludendo ai due attentati sventati durante la campagna elettorale. «E ora completeremo la mission: manterrò le promesse». La lista delle promesse è lunga. Aggiusterà l’immigrazione, che promette di bloccare finendo la costruzione del muro e deportando in massa tutti i migranti senza documenti presenti negli Stati Uniti. Aggiusterà l’economia, con l'autoproclamata «nuova età dell’oro», in cui le famiglie riusciranno a recuperare il potere di acquisto perso negli anni della pandemia. E poi: «Non inizierò guerre ma le fermerò». E ancora l’impegno a imporre dazi e a rivedere nelle sue fondamenta i rapporti con l’Europa e la Nato. Un messaggio semplice e di cambiamento quello di Trump che ha chiaramente mobilitato i suoi elettori, cosa che invece non è riuscita a fare Kamala, impantanata nell’immagine della presidente che avrebbe mantenuto lo status quo di Joe Biden che per quattro anni Trump ha criticato come un martello. Ieri notte, poco dopo che Fox News aveva stabilito che fosse il vincitore e prima che gli altri media e osservatori si accodassero, l’ex presidente è uscito sul palco del Palm Beach County Convention Center, accolto da applausi e dal coro «Usa, Usa, Usa». Trump ha schierato tutta la sua famiglia, con Melania e Ivanka in prima fila, e ha cercato di pronunciare un discorso più moderato rispetto a quelli che aveva fatto nelle ultime settimane di campagna: «Ci credete? È incredibile», ha detto. Non un attacco alla sua avversaria, non un attacco ai media, nessuna parola divisiva. «Voglio ringraziare il popolo americano per l'onore straordinario di essere stato eletto il vostro 47esimo presidente e il vostro 45esimo presidente», ha detto Trump. Chiusa la competizione alle urne, entrambi i contendenti sembrano intenzionati a smorzare la conflittualità e a rasserenare il clima nel paese. Per tutta la giornata di ieri Kamala Harris ha preparato un discorso di ammissione della sconfitta che invitava i suoi elettori alla calma e al riconoscimento del successo dell’avversario. E Joe Biden (che oggi parlerà alla nazione) ha telefonato a Biden invitandolo alla Casa Bianca per avviare il passaggio di consegne.
«Voglio ringraziare - ha detto Trump - ogni cittadino, lotterò per voi, per la vostra famiglia e per il vostro futuro. Ogni singolo giorno, lotterò per voi con ogni respiro del mio corpo». Quella di Trump e del popolo Maga è stata una maratona che, osservandola ora, mostra come dalla vittoria a sorpresa per la quale era del tutto impreparato nel 2016, è passato alla sconfitta contro Joe Biden del 2020, a questo successo, riuscendo a rinascere quando il mondo pensava fosse finito. I segnali c’erano tutti: pochi giorni dopo l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 invece di perdere quota nella sua popolarità tra gli elettori ha iniziato a recuperare, mentre il suo vice, Mike Pence, l’uomo che ha deciso di certificare la vittoria di Biden, ha perso forza ed è stato rigettato dai sostenitori Maga.
LA RESURREZIONE
Da quel momento Trump è risorto: il suo consenso è passato dal 30% della fine del primo mandato, a quasi il 50% degli ultimi mesi. Oltre a una campagna astutamente concentrata negli swing state per parlare con le minoranze che sapeva avrebbero ribaltato la situazione in suo favore, Trump ha avuto anche una importante spinta propulsiva da Elon Musk: non per nulla nel suo discorso di accettazione della vittoria lo ha citato, definendolo «una nuova star» e il «super genio». In effetti da quando Musk ha detto pubblicamente di sostenere la sua candidatura - il 13 luglio poco dopo l’attentato di Butler, in Pennsylvania - l’alt-right, i Maga, gli elettori indecisi hanno iniziato a prendere in considerazione questo endorsement per valutare se sostenere o meno Trump. Musk, da parte sua, ha inserito più di 130 milioni di dollari nella campagna elettorale e fatto comizi in modo attivo per mesi, senza dimenticare l’azione sul suo social network X.
Ma parlavamo dell’attentato del 13 luglio: anche quell’episodio è diventato per Trump parte fondamentale della narrativa della rinascita, del ritorno, del «fight, fight, fight» (combatti, combatti, combatti) che si sentiva a ogni manifestazione del partito repubblicano. Nella ricetta della vittoria ci sono anche altre due variabili: l’arrivo di J.D. Vance, che nonostante le posizioni di estrema destra, rappresenta il volto giovane e istruito del movimento Maga: ha studiato ad Harvard e riesce a dire cose spesso controverse e divisive in modo più accettabile di quanto faccia normalmente Trump. E ancora la scelta di RFK Jr., leader controverso con posizioni antivacciniste e complottiste, di fondersi con la campagna di Trump, dopo aver tentato senza successo di partecipare alle primarie del partito democratico. Ma in questa Trumpiade, l'ideologo del movimento Maga è rimasto sullo sfondo e non sembra sia riuscito a leggere l’andamento del paese: Steve Bannon, appena uscito da quattro mesi di carcere per i fatti del 6 gennaio, poche ore prima della vittoria aveva detto che «sarà una corsa fino all’ultimo voto». E sembra infatti che Bannon sia ormai stato messo da parte da Trump, ormai innamorato di Musk, Vance, RFK, la nuova triade che insieme alla famiglia lo circonda in questa nuova era.
IL DATO DI NEW YORK
Un'epoca in cui stupisce perché riesce a prendersi gruppi di elettori in modo trasversale come i repubblicani non facevano da anni, ma anche perché cresce in modo impensabile nello stato di New York, uno dei centri del pensiero liberal. Nel 2020 a New York era stato battuto da Biden con 23 punti di distacco, 60,9% a 37,7%. Martedì Trump ha invece recuperato quasi dieci punti percentuali: perdendo 44,2% a 55,8%. La Trumpiade però deve molto anche a due consulenti politici rimasti sullo sfondo a lavorare per tutti questi mesi: Susie Wiles e Chris LaCivita, che la sera della vittoria sono saliti sul palco e timidamente (Wiles ha preferito non parlare) hanno ringraziato Trump e si sono fatti applaudire dai Maga. Ora però, finita la prima parte della gara, Trump dal 20 gennaio 2025 dovrà mantenere decine di promesse che non solo spaventano gli alleati e decine di economisti, ma anche sono molto costose: si prevedono investimenti di centinaia di miliardi di dollari per iniziare le deportazioni di massa o per mettere nuovi dazi sulle importazioni. E allora, a quel punto, le parole del futuro 47esimo presidente dovranno trasformarsi in atti. Altrimenti, si sa, il popolo americano fa presto a stufarsi e a voltare pagina.