Ieri Donald Trump ha confermato l’intenzione di avvalersi delle forze armate per eseguire il piano di deportazione di massa degli immigrati irregolari, come promesso durante la campagna elettorale. Il presidente eletto ha anche chiarito come intenda procedere: dichiarerà «l’emergenza nazionale» e così potrà usare i soldati «per ristabilire l’ordine alle frontiere». La dichiarazione è arrivata in risposta a un messaggio del suo alleato Tom Fitton, che aveva anticipato come Trump sia intenzionato a «invertire l’invasione causata da Biden». Già nel 2019 Trump aveva fatto ricorso a un decreto presidenziale per dichiarare l’emergenza nazionale al confine meridionale e aggirare il Congresso dopo che questo aveva rifiutato di finanziare il suo muro di confine. I presidenti possono infatti dichiarare le emergenze nazionali in base al National Emergencies Act del 1976, che dà loro ampia discrezionalità nel determinare cosa costituisca un’emergenza e conferisce loro ulteriori poteri.
Durante la campagna elettorale, Trump ha frequentemente descritto l’immigrazione clandestina come un’invasione e ha accusato l’amministrazione Biden di una gestione fallimentare delle frontiere. Se il piano di deportazione di Trump andrà in porto, come promettono il suo futuro zar della frontiera, Tom Homan, e il suo consigliere Stephen Miller, circa 11 milioni di immigrati non in regola che vivono nel Paese, alcuni da molti anni, saranno sottoposti a trasferimenti forzati, il che coinvolgerebbe anche le loro famiglie, cosa che porterebbe a un totale di almeno 20 milioni di persone. Homan e Miller sono dei duri sul fronte immigrazione e sono stati loro, durante la prima amministrazione Trump ad adottare la politica della separazione delle famiglie: ancora oggi almeno mille di quei bambini non sono stati riuniti ai loro genitori, smarriti nei meandri della burocrazia americana. Gli analisti politici tuttavia non sanno se credere al piano di massima, perché significherebbe sottrarre al mercato del lavoro americano tante braccia che tengono in piedi il settore agricolo, dell’edilizia e dei servizi. Il timore principale sarebbe un aumento dell’inflazione dei prodotti agricoli, considerato che il 41% dei lavoratori dei campi sono “senza documentazione”, e si tratta di lavori che gli americani non vogliono fare. «Se verranno espulsi, i ristoranti chiuderanno, con conseguenti perdite massicce di entrate e una significativa flessione dell'economia», ha dichiarato un esponente della National Restaurant Association. E’ ipotesi diffusa che Trump comincerà con la deportazione di immigrati che abbiano la fedina penale sporca, magari che siano già in prigione, o siano stati accusati di qualche crimine. Potrebbe così ottenere un primo plauso generale, che magari, sperano gli ottimisti, gli basterà. Ma se volesse continuare, le normali forze dell’ordine del settore immigrazione non gli basterebbero e allora davvero avrebbe bisogno di grandi rinforzi. Tuttavia, il piano di Trump di mobilitare le forze armate per eseguire deportazioni su vasta scala apre questioni complesse sul piano legale e costituzionale. La legge Posse Comitatus Act del 1878 ne proibisce l’uso in operazioni di polizia interne. Trump pensa tuttavia di poter ricorrere all’«Alien Enemies Act» del 1798, una legge raramente usata, che permetterebbe di trattenere e deportare stranieri considerati pericolosi durante uno stato di guerra. L’ultima volta fu usata per detenere nippo-americani durante la Seconda Guerra Mondiale.
Le reazioni
Nelle comunità di immigrati intanto si sta diffondendo il panico. Gli haitiani fuggono in massa da Springfield dopo la vittoria di Trump. È la città dell’Ohio dove il presidente eletto aveva sostenuto in campagna elettorale che gli haitiani rapissero e mangiassero cani e gatti. I leader della comunità haitiana hanno riferito che finora sono scappate migliaia di persone originarie dell'isola caraibica per paura di essere deportate quando The Donald entrerà alla Casa Bianca. A confermarlo è stato anche Jacob Payen, uno dei fondatori della Haitian Community Alliance, che gestisce un’attività che include l'assistenza agli haitiani di Springfield per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi: «Le persone sono pienamente consapevoli del risultato delle elezioni, ed è per questo che se ne vanno, hanno paura di una deportazione di massa». «Molti dei miei clienti sono scappati - ha aggiunto - Un ragazzo con la sua famiglia si è trasferito nel New Jersey, altri sono a Boston, e conosco tre famiglie che sono andate in Canada».