Lo fa trattenendo la rabbia: «Non solo l’allarme non è stato dato, non solo ci è arrivato il messaggio di alert alle 8 di sera, quando l’apocalisse era già cominciata. Ora ci hanno lasciati soli, siamo isolati e ci aiutiamo tra di noi. Nelle case, vedrà, ci sono ancora morti che non sono stati recuperati. Una signora di 80 anni era nella sua abitazione e non è riuscita a fuggire. Il corpo galleggiava lì, siamo andati ad adagiarlo su un frigorifero, altro non potevamo fare». Alle sue spalle, come in vecchio western, code di famiglie con le buste della spesa intanto attraversano il fiume. Il sindaco di Chiva, Amparo Fort, è molto pessimista e sta dicendo: «Se per ora si contano dieci morti ufficialmente, io me ne aspetto alla fine solo da noi centinaia, ci sono zone che non siamo riusciti a raggiungere. Sulla strada ci sono moltissime carcasse di auto sorprese dall’inondazione, dalla Dana, e dentro sono convinto vi siano delle persone». Il bilancio provvisorio è di 158 morti.
L’ASSALTO
A Chiva manca tutto: acqua potabile, corrente elettrica, gas, i telefonini non funzionano. E quando arrivi a Cheste, dove c’è il supermercato e da dove ti aspetti dovrebbero partire colonne di aiuti, vedi qualcosa di sorprendente: non ci sono imponenti spiegamenti di mezzi dei bomberos, della protezione civile, dell’Ume, ogni tanto qualche agente della policia local o della Guardia civil, ma a tre giorni dalla sciagura non c’è quella mobilitazione che vedevi, ad esempio, nel 2023 in Romagna. Sembra incredibile, ma solo oggi l’esercito sarà schierato per distribuire aiuto, su richiesta del presidente della Generalitat di Valencia, Carlos Mazon. Ricapitolando: la regione di Valencia ha affrontato la tempesta più violenta e distruttiva del secolo, ci sono paesi isolati, persone senza cibo e acqua, cadaveri da recuperare. È successo martedì, ma l’esercito arriverà solo oggi, vale a dire venerdì. Anzi, no: ieri è atterrato a Torrent un primo elicottero dell’Esercito con i rifornimenti di acqua potabile. Riscriviamolo: un elicottero mentre attorno c’è l’apocalisse. Anche a Paiporta ci sono problemi di acqua potabile e quando è stato annunciato che si poteva attingere da alcuni punti in cui veniva distribuita, si sono formate lunghissime code. Sembrava Gaza, era la periferia di Valencia, Europa. Dopo il flop dell’allarme, dei soccorsi, anche questo ritardo della mobilitazione mette sullo sfondo un gigantesco punto di domanda sull’efficienza del sistema delle autonomie regionali tipico della Spagna.
L’APPELLO
Beatriz Adela Sainz Alonso, 41 anni, è una grafica di Sedavi, una località molto più a Est, vicino al mare, ma anche lei racconta lo stesso scenario mentre nelle strade c’è la stessa devastazione, con montagne di automobili vinte dalla furia dell’acqua che occupano le strade. Lei ha salvato un agente della policia local prossimo alla pensione che, nel tentativo di aiutare chi era in difficoltà, si era ferito e rischiava di essere trascinato via: «Anche qui siamo senza luce, gas ed acqua. Anche qui ci sosteniamo a vicenda tra noi vicini. Nessuno ci viene ad aiutare, parlate anche di noi per favore. Siamo disperati». Bisogna avere chiaro che non parliamo di paesini nascosti in cima a una montagna e divenuti irraggiungibili a causa delle frane: Chiva, Sedavi, Paiporta, sono località dell’hinterland di Valencia, dove vivono anche tanti che fanno i pendolari, dove il tragitto tra capoluogo e le varie località oggi trasformate in gironi danteschi sono di poche decine di minuti, magari percorrendo quelle autovie che sono ancora un cimitero di auto abbandonate. Eppure, anche a Paiporta, giungi alle stesse conclusioni: ci sono gruppi di ragazzi, tanti studenti, che con secchi e badili arrivano, anche a piedi, da Valencia per aiutare a liberare strade e abitazioni. In Italia, in tante e troppe sciagure, li abbiamo ribattezzati angeli del fango. Carla e Maria, ad esempio, stivaloni ai piedi, con altre studentesse universitarie, stanno percorrendo un ponte e spiegano: «Dovremo camminare almeno un’altra mezz’ora per raggiungere Paiporta, ma non è un problema. È giusto esserci, è giusto aiutare». Così nelle strade dell’inferno di fango ci sono davvero gli angeli, centinaia di persone, di ogni età, che combattono la battaglia contro la devastazione, anche in vicoli in cui le torri di automobili sono irreali, in cui si materializzano immagini che sembrano costruite con photoshop, come quella di una macchina incastrata nella porta di una casa.
LA DEVASTAZIONE
Detta in parole semplici, Paiporta mostra uno scenario di guerra. Eppure, anche qui: dove sono le colonne dell’equivalente di protezione civile, vigili del fuoco, poliziotti, carabinieri, finanzieri, gruppi cinofili, che - oggettivamente - trovi sulle grandi sciagure in Italia? «No, per ora non si è visto nulla. Voglio essere chiara, in Spagna si vive bene e per questo da due anni con mio marito e miei due figli ci siamo trasferiti qui, però in questa apocalisse a darsi da fare sono state le persone comuni»: a parlare è Ughetta Sanna, 40 anni, originaria di Varese che a Valencia è make up artist. Racconta lungo la strada mentre ripensa alla sua automobile perduta per sempre: «La vede questa foto? I contatori e le cassette della posta? Bene, l’acqua era arrivata ben al di sopra e tutto è avvenuto all’improvviso, senza che vi fosse stato un allarme concreto. Vicino a noi abbiamo visto anziani morire, perché non sono potuti scappare. Noi eravamo al terzo piano, siamo riusciti ad aiutare una ragazza che era rimasta bloccata nella piena del fiume. Poi, per fortuna, è arrivato un gruppo di giovani africani che sono riusciti a portarla al sicuro». A Paiporta ci sono anche altri italiani, come Gaetano Marletta, 52 anni, titolare di un’autofficina e originario di Catania, che racconta all’Ansa: «Abitavo vicino al vulcano, ma questo è stato uno tsunami di acqua e fango molto più pericoloso della lava. È accaduto tutto in pochi minuti. Nessuno aveva dato l'allarme. L'acqua è salita a tre metri in pochi minuti. Io ho avuto solo il tempo di prendere le chiavi di casa e scappare, che già ero immerso fino al collo. Martedì sera lo tsunami di fango si è portato via il lavoro e i sacrifici di una vita. Ma grazie a Dio sono in salvo le mie due figlie, che vivono a Torrent, mentre io mi sono rifugiato a casa di un amico ad Albal». Anche lui conferma che i primi, sparuti, mezzi della protezione civile a Paiporta si sono visti solo ieri mattina.
SABBIE MOBILI
E se la città è trasformata in un algido cimitero di migliaia di automobili, se non puoi evitare di affondare le scarpe nel fango che a volte sembra sabbie mobili, quasi sorridi quando vedi un carro attrezzi che porta via una macchina, perché sembra davvero un ago rispetto a un florilegio di pagliai. Anche in questa cittadina che di fatto è un pezzo di Valencia e che conta 25mila abitanti di cui la maggior parte si ritrova o senza casa o con lunghi e costosi lavori da fare, il sindaco conferma che il bilancio parziale dei 45 morti rischia da aggravarsi in quello che è stato definito l’epicentro dell’apocalisse. In questo caso a parlare è una sindaca, Maribel Albalat, che ripete: «Non c'è stato alcun preavviso, l'acqua è stata spazzata via, è entrata nelle case e ha allagato tutto e molte persone sono rimaste all’interno». Secondo il consiglio comunale si parla ancora di decine e decine di dispersi. S’inseguono le storie, i ricordi, come quello della piccola Angelina, tre mesi, morta insieme alla madre Lourdes, di 34 anni, di cui ancora ieri tutti parlavano.
LA RABBIA
In molti a Paiporta, Chiva e negli altri paesi devastati hanno voglia di parlare, di testimoniare, di spiegare perché si sono sentiti traditi non solo dalla furia della natura ma anche da chi doveva intervenire per avvertirli del pericolo prima e per aiutarli poi. Dice Marisa, 77 anni, che ha perso la sua seconda casa a causa dell’esondazione: «Sia chiaro, c’è chi si sta dando molto da fare per aiutarci, chi si sta impegnando fino all’ultima goccia di sudore, ma molte cose non hanno funzionato». Vero, in cielo ci sono ancora gli elicotteri dei vigili del fuoco, molte persone rimaste intrappolate dall’inondazione sono state recuperate con operazioni molto complesse e coraggiose. Ora però che l’acqua se ne è andata, che è scesa, restano la devastazione e una convinzione: «Vedrete il bilancio delle vittime sarà molto più alto di quanto stanno dicendo». Sembra di rivivere il periodo dello tsunami nel sud-est asiatico, qui ancora non sono in grado neppure di dire quanto sono, esattamente, i dispersi. Sospira un uomo a Chiva: «Quando finalmente entreranno in tutte le case... Quando finalmente passeranno al setaccio tutte le automobili rimaste bloccate lungo la strada durante l’alluvione... temo che ci saranno molti altri cadaveri, spero di sbagliarmi». Chi invece non si ferma sono gli sciacalli, sono stati segnalati assalti a negozi e supermercati abbandonati: ci sono stati 50 arresti per saccheggi di zone abbandonate, ad esempio nel centro commerciale Bonaire dove martedì erano rimaste bloccate centinaia di persone assediate dall’acqua.