Resta in carcere Renato Caiafa. Al termine di un’udienza durata oltre due ore e mezza per la morte di Arcangelo Correra lo ha deciso il giudice per le indagini del Tribunale di Napoli, che pur non convalidando “per mancanza dei presupposti di legge” ha applicato la misura cautelare in carcere per i reati di detenzione di arma clandestina e ricettazione.
Le fasi
«Rispettiamo il provvedimento del giudice, anche se non lo condividiamo - ha dichiarato il difensore del giovane indagato, Giuseppe De Gregorio - ed anzi lo impugneremo innanzi al Tribunale per la libertà».
All’udienza di convalida - svoltasi in una saletta dedicata del carcere di Poggioreale - Caiafa è apparso provato da questi primi giorni di detenzione. Il rimorso per quello che ha determinato non lo abbandona. Nel corso dell’interrogatorio Renato Caiafa (fratello di Luigi, il giovanissimo ucciso nel 2020 da un poliziotto durante un tentativo di rapina) ha sostanzialmente confermato quanto aveva già dichiarato in Questura dopo essersi costituito al termine di una breve fuga disperata.
Stando alla ricostruzione fatta dalla Squadra Mobile guidata dal primo dirigente Giovanni Leuci, Arcangelo Correra sarebbe morto dopo essere stato colpito da un proiettile di una pistola calibro 9x21 maneggiata dall’amico Caiafa. La circostanza è stata confermata dalla confessione stessa di Renato.
Per i fatti di quella notte di follia Caiafa è indagato anche per omicidio colposo. Il ragazzo ha continuato a sostenere di aver trovato per caso quell’arma micidiale, nascosta sul copertone di una macchina parcheggiata nella zona di piazza Sedil Capuano. Al momento in cui veniva maneggiata l’arma, fatta “scarrellare” prima che partisse il proiettile, oltre a Caiafa e a Correra era presente anche un 17enne. Al giudice Renato avrebbe anche riferito le ultime parole pronunciate dall’amico, mentre di corsa lo stavano accompagnando all’ospedale Pellegrini, dove poi spirerà nonostante il disperato tentativo di un intervento chirurgico alla testa: «Renà non mi lasciare». E ribadito che quanto accaduto è il frutto di una tragica fatalità.
Le motivazioni
Il gip, tuttavia, non ha convalidato fermo, anche se ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare a carico dell'indagato, che dunque resta in carcere. Oggi all’Istituto di medicina legale del Policlinico si terrà l’autopsia della giovane vittima. Dai risultati dell’esame sarà anche possibile capire se la traiettoria del colpo di pistola sia compatibile con la versione fornita dall’indagato.
Prima di passare alle motivazioni che hanno indotto il gip a pronunciare il suo verdetto dobbiamo ricordare alcuni passaggi essenziali dell’inchiesta coordinata dal pm Ciro Capasso. Alcune ore dopo l’omicidio, Caiafa si è spontaneamente recato in Questura, un atto che, a parere del suo legale, «testimonia chiaramente l’assenza del pericolo di fuga». Ma, sempre secondo il difensore, non sarebbero sussistenti neppure agli altri due presupposti che giustificano il carcere: per il legale non c’è infatti il rischio che l’indagato possa inquinare le prove, né che possa reiterare il reato. Finora Caiafa ha sempre sostenuto che la morte del suo fraterno amico è stata un incidente: stava maneggiando una pistola con il caricatore pieno, che neppure sapeva se fosse vera o falsa, quando, all'improvviso è partito il colpo mortale.
È importante ricordare questi passaggi investigativi per comprendere su quali basi il giudice per le indagini preliminari ha mantenuto in carcere il ragazzo, pur non convalidando il fermo: perché le due cose potrebbero apparire un controsenso, e invece così non è.
Ebbene, il gip, pur ritenendo che non sussistono i rischi legati a una fuga dell’indagato in caso di scarcerazione, ha valutato determinante il contesto generale dei fatti che hanno determinato quei terribili secondi di sangue e di morte. Il fermo (di polizia giudiziaria o della Procura) viene adottato non in base alla flagranza del reato, ma in due casi: il pericolo di fuga, appunto, e i gravi indizi di reato.
Di qui l’applicazione della misura cautelare in carcere, giustificata dalla possibilità che l’indagato - una volta libero - possa inquinare il contesto probatorio, subornare e condizionare i testimoni e per la gravità del reato contestato.
Il giallo
Resta, sullo sfondo, il mistero di un proiettile calibro 22 ritrovato sul luogo del delitto non dalla Polizia Scientifica, ma da alcune persone nelle ore successive alla tragedia. Dato per scontata la circostanza che quel proiettile sia sfuggito al sopralluogo degli investigatori, c’è da immaginare che sia stato posizionato solo successivamente al fatto e ai riscontri della polizia.