Faro di Chery sull’azienda piemontese. Ed è guerra in Europa sul diktat elettrico
Si allungano le ombre cinesi su quella che per anni, grazie a Fiat, è stata considerata la «Motor City» italiana: Torino. Il colosso Chery del presidente Yin Tongyue punta, infatti, a insediare sotto la Mole o nei dintorni un proprio centro europeo di ingegnerizzazione e design. E il faro, secondo indiscrezioni, sarebbe stato acceso sull’azienda Torino Design, guidata da Roberto Piatti e Giuliano Biasio. La proprietà di Torino Design e il presidente di Chery, tra l’altro, si conoscono da anni, tanto che la stessa azienda era stata chiamata nel 1999 a progettare alcuni modelli del gruppo di Wuhu. E sempre Torino Design, a quanto risulta al Giornale, avrebbe ricevuto offerte da altre società, sempre cinesi, tra costruttori e gruppi di ingegnerizzazione. Da Villa Gualino, sede di Torino Design, sulla collina del capoluogo piemontese, nessun commento. Negli ultimi tempi l’azienda è impegnata a collaborare con la vietnamita VinFast per la quale ha realizzato anche il concept di un grande pick-up elettrico, battezzato Wild, presentato lo scorso gennaio al Ces di Las Vegas.
Che si tratti di Torino Design o di altre realtà del territorio, la conferma dell’interesse di Chery sull’indotto piemontese arriva direttamente da Shawn Xu, ad dei marchi Omoda e Jaecoo. «Abbiamo piani per avviare una realtà con subito almeno un centinaio di addetti - le sue parole alla recente Global Innovation Week, svoltasi in Cina -; riconosciamo all’Italia molte competenze ingegneristiche e soprattutto nel design. Ci sono trattative anche nell’area di Torino».
Chery, tra l’altro, è tra i big cinesi dell’auto che più dialogano con il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il quale da mesi è impegnato nel tentativo di portare nel Paese un importante investimento produttivo da Pechino, vista la situazione di estrema incertezza relativa ai piani di Stellantis. Lo stesso gruppo Chery, inoltre, mesi fa aveva condotto un sopralluogo nell’area che ospita l’ex stabilimento Fiat, a Termini Imerese, nel Palermitano, senza però riscontrare le condizioni logistiche essenziali per avviare una possibile attività.
per avviare una possibile attività. Intanto, a Bruxelles torna il clima di guerra sul ban dal 2035 alle auto con motori a benzina e Diesel. E come previsto, a farsi viva, dopo un breve letargo, è la «verde» spagnola Teresa Ribera, designata da Ursula von der Leyen come vicepresidente esecutiva della Commissione Ue per la Transizione Pulita, Giusta e Competitiva. In vista della sua audizione, il 12 novembre prossimo, Ribera precisa che «gli standard di prestazione per le emissioni di CO2 per nuove auto e furgoni stabiliscono obiettivi chiari a partire dal 2030 e un obiettivo di riduzione del 100% dal 2035. Occorre, pertanto, garantire l’elettrificazione e la disponibilità di combustibili puliti». Ecco perché lo stop ai motori a benzina e Diesel dal 2035 «è una parte fondamentale del raggiungimento da parte dell’Ue dell’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 55%». No della spagnola anche ad anticipare al 2025 la revisione dei piani green, previsti nel 2026, come sollecitato chiesto pure dall’industria dell’auto.
«Preoccupazione e sconcerto», commenta il gruppo della Lega a Bruxelles. E Fulvio Martusciello, capogruppo di Forza Italia: «È difficile votare una vicepresidente che propone una visione cosi ideologica e scollegata dalla realtà economica».