Un mistero a cui nessuno è ancora riuscito a dare una risposta. Per questo il caso di Emanuela Orlandi continua ad essere d'attualità. Domenico Giani, ex comandante della Gendarmeria vaticana, è stato ascoltato davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, presieduta dal senatore Andrea De Priamo (FdI). E ha risposto in merito alla presenza della tomba di Enrico De Pedis all'interno di Sant'Apollinare: «Io non so perché era lì, non me ne sono mai occupato, non faceva parte dei miei compiti. Se non fosse venuta fuori dai giornali probabilmente questa tomba sarebbe ancora lì - ha sottolineato - Anche io lo ritengo un fatto grave, ma detto questo non so perché c'era, non me ne sono occupato. Nel momento in cui i superiori della Segreteria di Stato si sono resi conto di questa cosa, è stato detto "questa tomba qui non ha titolo di starci" ed è stata portata via».
La tumulazione di Renatino De Pedis
Quando sorse la questione della estumulazione della tomba di "Renatino" De Pedis dalla basilica di Sant'Apollinare «mi chiesero di prendere contatti con il dottor Capaldo, chiaramente, la richiesta proveniva dalla segreteria di Stato e da mons. Georg Gaenswein ed ecco perché quando il dottor Capaldo ha usato il sostantivo emissario sono rimasto molto basito perché non sono un emissario, ancorché non sia una parola offensiva di per sé, ma ero un capo della polizia, un servitore dello Stato, non l'ho trovata una bella cosa, mi ha dato fastidio, poi tutto il resto è comprensibile». A Giani era stata posta una domanda riguardo alla presunta «trattativa» con la procura di Roma, nel 2012, quando Giancarlo Capaldo era titolare del fascicolo sulla scomparsa della ragazzina vaticana. Giani ha chiarito che i colloqui con Capaldo erano riguardo a questioni non chiare di extraterritorialità ma che da parte del Vaticano c'era «la massima volontà di collaborare» affinché la tomba del criminale romano fosse portata via. Giani si è detto inoltre «umanamente dispiaciuto» dal comportamento della procura di allora poiché lui aveva offerto «leale» collaborazione: apprese della estumulazione della tomba da padre Federico Lombardi, il quale a sua volta «lo apprese dalle agenzie», mentre era impegnato nella gestione della sicurezza di una visita di papa Benedetto ad Arezzo.
Giani davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta
«Noi non potevamo offrire a Capaldo niente di quello che non avevamo», ha spiegato Giani alle molte domande della Commissione presieduta dal senatore Andrea De Priamo sempre a proposito di quella che Capaldo, in audizione, ha chiamato una offerta di collaborazione ma non una trattativa tra procura di Roma e organi di polizia vaticana. «Noi non avevamo niente, io non sono un piazzista, non vendo fumo, ma servizi alla persona e alle istituzioni, se io posso parlare è perché sono certo di quello che dico, Capaldo può dire quello che vuole, ma io non sono andato a dire a Capaldo cose che non avevo».
«Sono andato a dirgli - ha detto in estrema sintesi l'ex capo della Gendarmeria vaticana - noi vogliamo togliere la tomba, tu lo puoi fare senza di noi, ma ti garantiamo massima collaborazione, poi sul perché quella tomba fosse lì io me lo potrei pure porre il perché, sono basito di ciò, non ce la dovevano mettere, è una cosa che grida scandalo ma l'incarico che io avevo ricevuto era quello di occuparmi di offrire collaborazione alla estumulazione».
Giani ha riferito di due incontri con Capaldo, il primo in procura e il secondo in Vaticano: «Lui è venuto la seconda volta, allora se la vogliamo dire tutta, lui forse pensava di fare il risultato ma il risultato su che cosa se noi non avevamo niente?». Giani ha detto, infatti, più volte che il Vaticano non era in possesso di elementi utili alle indagini.