Paola Brunese, presidente del Tribunale per i minorenni di Napoli, commenta quello che è accaduto l’altra notte in uno dei vicoli a ridosso del corso Umberto dove un quindicenne è stato ucciso da un proiettile che lo ha raggiunto alla schiena.
Che cosa ha pensato quando ha saputo della morte di Emanuele Tufano?
«Ho provato un immenso dolore e mi sono chiesta se il Tribunale che dirigo potrebbe fare di più per prevenire episodi così devastanti».
Si sarà anche chiesta come si potrebbe impedire che dei ragazzini vadano in giro per la città armati come killer.
«Certo».
Quale risposta si è data?
«Quella che bisogna riuscire a cogliere i segnali di disagio minorile prima che sia troppo tardi. E c’è una ragione. La devianza, e poi la criminalità, sono cerchi concentrici preceduti da segnali che è possibile intercettare e correggere ma solo se si dispone di mezzi e risorse adeguate. È chiaro che ci sono anche casi in cui l’azione criminale esplode in maniera improvvisa e inaspettata in ragazzi con condotte fino a quel momento irreprensibili, ma per fortuna sono casi rari».
Un esempio?
«La strage di Paderno Dugnano: un adolescente ha sterminato a colpi di coltello la propria famiglia, solo il giorno prima aveva festeggiato il compleanno del padre».
Torniamo alle armi. Come fanno dei ragazzini a procurarsele con tanta facilità?
«La famiglia ha un ruolo centrale. Nel senso che avrebbe il compito di controllare che i figli non frequentino gente in grado di fornire loro armi da sparo. E la stessa famiglia dovrebbe anche assicurarsi che i figli non escano armati di casa. Ma è chiaro che i genitori dovrebbero essere sostenuti dai Servizi sociali per imparare a gestire correttamente la loro responsabilità».
Quali sono i fattori principali che spingono i giovani verso la criminalità?
«La noia, la prevaricazione quale alternativa negativa all’empatia e al rispetto del prossimo, l’uso e l’abuso di Internet... il discorso è assai complesso, sarebbe necessario un confronto serio e concreto».
C’è chi ha detto che siamo tutti responsabili della morte di quel ragazzino.
«Certo. È il mondo di noi adulti ad avere la responsabilità delle condotte criminali dei minorenni che risentono di una povertà educativa - e anche economica - che li induce a trascorrere molto tempo in strada mentre dovrebbero essere impegnati in attività formative e orientati a costruire il loro futuro. In questo senso sì, siamo tutti responsabili».
A Napoli convivono due realtà minorili: i garantiti, che hanno a disposizione occasioni e opportunità, e i fragili. A finire nelle maglie della criminalità sono soprattutto i secondi. Come si inverte la tendenza?
«Fornendo ai minori “fragili” quelle opportunità che la famiglia non è in grado di dare. Quindi: scuole aperte anche nel pomeriggio, attività sportive e di volontariato che impegnino e formino i figli della nostra epoca».
Il decreto Caivano voluto dal governo affronta proprio queste criticità. Secondo lei sta funzionando?
«Quel decreto ha avuto indubbi meriti ma anche qualche difetto. Sicuramente l’abbassamento del tetto di pena per consentire l’applicazione di misure cautelari - come per il delitto di resistenza a Pubblico ufficiale e l’allungamento dei termini delle misure cautelari - hanno reso più pregnante l’intervento della magistratura. Non condivido invece l’esclusione della possibilità della messa alla prova sul titolo astratto del reato contestato: penso che tale istituto debba basarsi sulla personalità dell’indagato e sulle risorse personali dello stesso».
Ritiene che aumentare le pene potrebbe avere effetti positivi?
«Assolutamente no. Le pene hanno ampi margini entro i quali il giudice può muoversi per renderle adeguate al caso concreto e comunque credo che il discorso non debba basarsi sulla punizione ma sull’educazione al rispetto del prossimo».
La Procura per i minorenni ha ottenuto risultati rilevanti - lo dicono i numeri - ma forse non è ancora abbastanza?
«La Procura, diretta dalla dottoressa De Luzenberger, nella quale lavorano alcuni colleghi di eccellenti capacità, ha un organico al completo e sta facendo molto. Spero che anche il Tribunale possa conseguire buoni risultati ma la pianta organica, già inadeguata rispetto al bacino di utenza in cui opera, è pesantemente scoperta. Basta un dato: su 18 magistrati previsti ne mancano quattro e molti sono prossimi alla pensione. Se non arriveranno rinforzi temo che le buoni intenzioni dei colleghi, e anche le mie, siano destinate a rimanere tali».