Farmacia, Napoli al top nel mondo: l'ecosistema virtuoso tra ricerca e produzione

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«L'espansione del Mezzogiorno è stata trainata dalla vendita di prodotti farmaceutici». È uno dei passaggi più netti del recentissimo Rapporto di Banca d'Italia sulle economie regionali e fotografa, confermandolo, la consistenza di un sistema che si è ormai stabilmente aggiunto ai fattori di sviluppo del Sud, un tempo limitati alle 4A (agroalimentare, automotive, abbigliamento e aerospazio). Un ecosistema vero e proprio, come ripete spesso Pierluigi Petrone, vicepresidente napoletano di Federfarma, che in regioni come la Campania ha trovato «nella sinergia tra la ricerca universitaria e gli investimenti delle aziende private della filiera di settore, dalla produzione alla distribuzione dei farmaci, un equilibrio pressoché perfetto». Con obiettivi, va aggiunto, non a caso di grande respiro come la proposta partita dalla sezione farmaceutica dell'Unione industriali di Napoli di realizzare un unico hub farmaceutico per lo stoccaggio e la distribuzione dei medicinali (anche ai Paesi della sponda sud del Mediterraneo) per liberare ulteriori spazi alle aziende e favorire la loro espansione. 

I numeri del settore farmaceutico 

I numeri, di sicuro, sono solo una parte di questo ragionamento ancorché piuttosto eloquente: al terzo trimestre 2024, secondo l'ultimo aggiornamento di Srm, il Centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo, la filiera farmaceutica meridionale presenta un Valore Aggiunto di 779 milioni di euro (il 7,7% del dato nazionale), 8,3 miliardi di export, 132 unità locali e 6.017 addetti. La specializzazione produttiva del Mezzogiorno nel farmaceutico è del 2,3% in termini di valore aggiunto, un valore inferiore al dato nazionale (3,6%), ma sale al 13% se si considera l'export. Da sola la Campania realizza quasi il 35% del valore aggiunto della filiera meridionale e quasi il 74% delle relative esportazioni. La regione, inoltre, rappresenta il 33% delle unità locali meridionali ed il 32% degli addetti. Al terzo trimestre 2024, inoltre, le imprese farmaceutiche meridionali sono 110, 38 delle quali in Campania, pari a quasi il 35% delle imprese meridionali del settore ed a circa il 6% del dato nazionale. Per la verità, in termini di trend, negli ultimi anni si è assistito ad un lieve calo (nello specifico, rispetto al dato dell'analogo trimestre del 2023, si è registrato un -9,5% per la Campania, a fronte di un -7,6% per il Sud ed un -4,6% per l'Italia). Ma, spiega Srm, dall'analisi del trend delle esportazioni si rileva una crescita del settore nell'ultimo anno, con variazioni anche più alte rispetto al resto del territorio. Nel dettaglio, ad esempio, l'export farmaceutico campano fa registrare un +54,6% rispetto all'analogo dato del 2023, contro un +47,2% per il Mezzogiorno e un +1,2% per l'Italia. Ma c'è di più. Dall'elaborazione di dati Prometeia, il Centro Studi collegato a Intesa Sanpaolo ricava anche un evidente effetto moltiplicatore sul sistema economico complessivo. E cioè, «per effetto dei legami interregionali e di filiera, nel Mezzogiorno 100 euro di produzione farmaceutica attivano 42 euro aggiuntivi nell'area e 529 nelle altre regioni e negli altri settori, per un impatto complessivo di 671 euro. L'impatto complessivo a livello Paese generato dalla filiera farmaceutica meridionale risulta maggiore rispetto a quello generato da una regione media italiana (402 euro). In Campania, l'impatto complessivo sale a 787 euro (54 euro nell'area e 634 euro nel resto del Paese)». 

Gli investimenti di Novartis

Sono dati rilevanti, specie ora che la sfida si chiama Intelligenza Artificiale e che la sua applicazione nel contesto delle Scienze della Vita è destinata a crescere inevitabilmente. Ma anche in questo caso i presupposti per evitare un salto nel buio ci sono. La filiera, intanto, investe: Novartis, la multinazionale che ha scelto la Campania per rafforzare la sua presenza in Italia, ha sfruttato le opportunità della Zes regionale prima e della Zes unica poi per irrobustire lo stabilimento di Torre Annunziata sia sotto il profilo produttivo sia sotto quello della ricerca. Nella distribuzione, il caso più rilevante è l'investimento realizzato da Farvima nell'area dell'Interporto di Nola ma un po' tutte le aziende hanno cavalcato londa lunga della crescita dei fatturati post Covid per puntare sulla tecnologia. Una scelta perfino obbligata dal momento che in questo settore investire in innovazione, ricerca e formazione «accresce la capacità endogena di ricchezza del territorio e investire in tecnologia/digitale determina un impatto del 20% in più rispetto agli investimenti tradizionali». Non è un caso, ricorda sempre Srm, che «l'impegno delle imprese farmaceutiche soprattutto nella componente immateriale ha prodotto un eloquente +99% medio annuo nell'ultimo quinquennio». La Campania, che è la settima regione italiana per investimenti in Ricerca e Sviluppo, ovviamente la prima del Mezzogiorno, colloca Napoli al quarto posto nazionale nel ranking provinciale per valore dell'export farmaceutico. E si candida per partecipare allo sviluppo del settore che il presidente di Federfarma, Cattani, indicò proprio a Torre Annunziata qualche mese fa: «Tra il 2024 e il 2028 saranno investiti nel mondo in Ricerca e Sviluppo circa 1.700 miliardi di dollari, e altrettanti in produzione. I farmaci approvati lo scorso anno dall'FDA (l'Agenzia regolatoria americana) sono stati 55, mentre nei 4 anni precedenti la media è stata di 49, con una pipeline di medicinali in sviluppo nel mondo che oggi è già di oltre 21 mila. Un'accelerazione che in Europa viene però frenata da politiche ideologiche e anti-industriali con un approccio che considera la salute dei cittadini solo come un costo. E dall'aumento negli ultimi 2 anni del 30% dei costi industriali che è strutturale e quindi rende molto difficile la sostenibilità delle produzioni». 

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