L’esperto al Giornale: "È improbabile che abbia usato un software per il controllo del cellulare". Ecco perché ha sfruttato strumenti nati per altri scopi e come difendersi
Il processo di primo grado per l’omicidio di Giulia Cecchettin dirà molte cose. Tra queste: c’è stato stalking? Tra le ipotesi investigative ventilate finora quella che Filippo Turetta, che ha confessato di aver ucciso l’ex l’11 novembre 2023, l’avrebbe monitorata attraverso un’app-spia. Ma è verosimile? Esistono davvero queste app? Ed è possibile accorgersi se si sta venendo spiati.
In attesa che proprio il 23enne compaia in aula il 25 e il 28 ottobre, a questa e altre domande ha risposto l’esperto Matteo Flora, imprenditore e professore in Fondamenti di sicurezza delle Ai e delle Superintelligenze alla European School of Economics: “Le vere app-spia sono appannaggio delle forze dell’ordine o della criminalità, e sono molto costose", ha spiegato a ilGiornale, "Più verosimile l’utilizzo di strumenti usati in altri ambiti”.
Professor Flora, nel caso dell’omicidio di Giulia Cecchettin, è emersa la possibilità che Filippo Turetta si servisse di un’app-spia, ma non conosciamo il nome dell’app specifica. Che cos’è esattamente? Da chi viene usata di solito?
“Quando parliamo di app-spia, nel 99% dei casi non stiamo parlando di app e non stiamo parlando di app che nascono per fare la spia. Perché la possibilità di installare dei software per il controllo esiste ma in genere si tratta di software molto costosi che vengono utilizzati in altri ambiti. Quello che succede nella stragrande maggioranza dei casi è semplicemente che un coniuge, o una persona un convivente, o una persona interessata alla vita di qualcuno abbia accesso a una limitata serie di funzioni che sono già presenti all'interno del cellulare, ad esempio il tracciamento che sia Google sia Apple danno dei dispositivi”.
Oppure?
“Oppure le funzioni di parental control che in genere il tutore di un minore può attivare. Oppure ancora, succede spessissimo, che qualcuno registri il proprio cellulare o un altro dispositivo all'interno degli account di messaggistica - il più comune è WhatsApp - in questo modo interponendosi come se fosse un secondo legittimo utilizzatore, è in grado di avere accesso a tantissime informazioni. Da un account WhatsApp si può arrivare a tantissime informazioni, in particolare aggiungendo la geolocalizzazione. Esistono delle applicazioni che fanno da spia e sono di due tipi: uno viene dato ai genitori per controllare i figli minori - ma non sono app-spia vere e proprie, anche perché i produttori di app non vedono la cosa di buon occhio - un altro tipo è quello utilizzato dalla criminalità organizzata o dalle forze di polizia. Ma stiamo parlando di strumenti dal costo di decine di migliaia di euro fino al milione, che raramente finiscono nell'uso comune".
Si può dire quindi che si è nel campo della legalità, perché parliamo di app che tracciano ad esempio i minori per aiutare i genitori. Giusto?
"Molto probabilmente l'applicazione nasce con quella finalità: ce ne sono una serie. Qualunque utente non particolarmente bravo nell'utilizzo del computer in genere se ne accorge di avere applicazioni di questo tipo. È molto più verosimile monitorare la posta elettronica, la geolocalizzazione dello smartphone e WhatsApp attraverso l'aggiunta di un altro utente. Lo si può fare attraverso l'app per ritrovare il cellulare, oppure attraverso l'abbinamento di un altro device con WhatsApp per esempio. Tanto più che i sistemi operativi di ultima generazione tendono a dare tanti segnali quando viene installata un'app spia vera e propria”.
Quindi in questo modo non si può notare se si sta venendo spiati attraverso queste funzioni?
“Bisogna domandarsi: chi è il ‘nemico’? Se si tratta di uno stalker o di un coniuge che teme l’infedeltà da parte della propria metà, è improbabile che istalli un programma che normalmente costa centinaia di migliaia di euro. Diverso il discorso è se chi mi spia è uno Stato sovrano o le forze dell’ordine che mi stanno intercettando”.
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Nelle scorse settimane in un talk show un esperto ha accennato all’ipotesi che Turetta potrebbe essersi servito di un trojan. Di cosa si tratta?
“Il trojan è un vettore, ovvero un programma malevolo che consente di far eseguire, contro la volontà del proprietario di un dispositivo, dei software tra cui quelli che potrebbero controllare, scaricare, ascoltare le cosiddette intercettazioni. Alcuni di questi trojan possono essere istallati da remoto, senza che l’utente se ne accorga, ma sono anche questi estremamente costosi: si arriva a pagare centinaia di migliaia di euro per singolo bersaglio”.
Quali sono le precauzioni più comuni da adottare per proteggersi online dallo stalking?
“Una delle poche cose che si possono fare - ma che la gente è normalmente restia a fare - è iniziare a non condividere informazioni non essenziali. Lo fanno persino i personaggi noti, mostrando di essere andati all’uno o all’altro evento, oppure in vacanza in un dato posto o ancora mostrando il luogo in cui si vive in tempo reale. Gli aggiornamenti dovrebbero essere pubblicati in maniera sfasata rispetto alla realtà, per esempio pubblicare le foto della vacanza una settimana dopo il proprio ritorno. Naturalmente i biglietti di un volo o di un viaggio in treno non si devono pubblicare: il rischio è trovare lo stalker seduto accanto a noi. Inoltre è molto facile desumere dagli aggiornamenti lo stile di vita di una persona, anche perché si tende a essere abitudinari, per cui bisogna chiedersi: cosa farebbe con queste informazioni un utente ostile?”.
C’è un modo per prevenire i crimini studiando i comportamenti online? Sembra abbastanza fantascientifico.
“Non è così fantascientifico: esistono già tutte una serie di sistemi atti a identificare i comportamenti online delle persone per individuare un rischio suicidiario. Sono utilizzati in modo molto ristretto, per via della normativa esistente.
Analogamente possono essere individuate emozioni legate a rabbia o violenza, anche qualora vengano subite, tuttavia un conto è analizzare il rischio, un altro conto è che un crimine come un omicidio venga commesso realmente, per cui non si può pre-incolpare una persona, tanto più che esiste un margine d’errore”.