Il ministro in corsa per la vicepresidenza Ue dovrà affrontare l'orale il 12 novembre: "Lavorerò perché si rispetti l'agenda del Pnrr"
Ci ha messo cuore e radici, nelle risposte scritte agli eurodeputati, Raffaele Fitto (nella foto). Prima prova superata. E viatico con meno nubi all'orizzonte per essere votato come Commissario alla Coesione e vicepresidente esecutivo della nuova Commissione europea. Per il Sì definitivo a un posto da titolare di peso nella squadra di Von der Leyen a Bruxelles, il 55enne pugliese dovrà attendere l'audizione del 12 novembre. Lo step dello «scritto», come un esame scolastico o universitario, è alle spalle. La mostrificazione che esponenti dei Socialisti e dei Verdi avevano tentato è fallita; anche perché la diplomazia «pugliese» miete successi anche in casa dem, dagli endorsement del neo eletto Decaro (Pd) all'allineamento del presidente della Puglia Emiliano con tanto di «assoluzione» pubblica per i ritardi sull'erogazione dei fondi alla Regione: «Raffaele non è il responsabile di questa storia, è la cassa della Repubblica italiana».
Agli eurodeputati autori del primo test, Fitto ha risposto che se sarà confermato lavorerà «affinché i Paesi rispettino le riforme e gli investimenti concordati stabiliti con il Pnrr entro la scadenza del 2026». In sostanza, né preda di campanilismi né tendente a considerare figli e figliastri venendo incontro ai più forti e lasciando magari indietro i meno performanti. «La Commissione valuterà costantemente se gli Stati rispetteranno i propri impegni e se sia probabile che gli obiettivi siano raggiunti». Altrimenti «l'esborso non verrà effettuato». Niente giochi di prestigio, dunque. A parte un impegno di buon senso per una modifica eventuale dei loro piani per «garantire che i fondi siano concentrati su investimenti alternativi».
Alla vigilia volavano strali da euro-avversari che puntavano a delegittimarlo in quanto esponente di FdI, conservatore e per qualcuno perfino «post-fascista». Fitto ha quindi piazzato nell'introduzione il suo cursus honorum: europeista sin da inizio carriera «nel partito in cui condividevo la vocazione europea, la Democrazia cristiana». Dunque sempre «convinto del progetto europeo e dei princìpi dello Sato di diritto». Poi le idee e i fatti che intende portare avanti, dal Pnrr di cui si è occupato da ministro, all'impegno a ridurre le disparità regionali. Semplificazione e snellimento della burocrazia in cima all'agenda; riduzione degli oneri amministrativi che affliggono le Pmi e miglior trasparenza per facilitare l'accesso ai fondi. Ostacoli ancora ce ne sono.
Ma si può dire che abbia disinnescato quelle che a Bruxelles venivano considerate potenziali mine sul percorso, piazzate da chi tenta di disarcionarlo perché Ursula ha scelto lui per la delega alla Coesione che vale 378 miliardi, 43 circa per l'Italia, e al Pnrr (600); da condividere, questa, con Valdis Dombrovskis.