Gabriellino Palestini, l'uomo Plasmon di Carosello: «Condannato a morte per un carico di droga da 100 milioni, ecco cosa faccio oggi»

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Gabriellino Fioravante Palestini oggi ha 78 anni, una vita avventurosa alla spalle tra Caroselli mitici, carcere duro e un percorso che, grazie anche a Falcone, lo ha riportato sulla buona strada.

Chi è oggi Gabriellino?
«Sono un pensionato, passo le mie giornate a Giulianova, al porto, sento che la città mi vuole molto bene e io cerco di ricambiare come posso l'affetto che mi circonda e mi fa bene».

Lei negli anni Sessanta è stato un grande personaggio della televisione.
«Sì, nel 1964 a Giulianova venne il regista di Cinecittà Paolo De Paulis che cercava un fisico possente, mi ha inquadrato con la telecamera e mi ha preso per girare Caroselli»

Fece l'Uomo Plasmon e divenne famoso. Gli altri Caroselli?
«Ne girai altri due. Quello più premiato fu per i biscotti Mellin, venne giudicato il migliore del 1964 insieme a quello della brillantina Linetti. Con gli spot, ai tempi, guadagnai un milione e centomila lire».

Perché non passò poi al cinema?
«De Paulis mi propose di andare a Roma e girare dei film su Maciste, rifiutai. Preferii trasferirmi in Germania dove facevo il buttafuori, incontravo persone influenti e potenti in quegli ambienti».

Poi?
«Dopo l'esperienza in Germania venni ingaggiato come guardia del corpo nel night di un miliardario israeliano che commerciava diamanti. E da lì iniziai a lavorare nelle bische clandestine».

Come conobbe il boss Gaspare Mutolo, poi pentito di mafia?
«Era confinato in un albergo di Teramo e lì lo incontrai. Nel suo libro "Ci sentivamo cavalli di razza" ricorda che decise di portarmi nei suoi viaggi in Sicilia e mi presentò ai capi mafia, entrai nelle loro grazie, restarono tutti affascinati dai miei modi educati e gentili. Fu così che conobbi, tra gli altri, Stefano Bontade, Rosario Riccobono, Gaetano Carollo. In quel periodo conobbi ance Nino Porcelli».

E diventaste amici.
«Fidatissimi a quel punto che, per recuperare il denaro guadagnato e scialacquato in passato, accettai di portare un carico di droga dalla Thailandia alla Sicilia. Ma Mutolo, tengo però a sottolinearlo, non c'entrava niente. Venni fermato al canale di Suez in Egitto con 250 chili di eroina e 25 di morfina. Il carico valeva cento milioni di dollari».

Come successe?
«Mi bloccò l'Fbi americana, che da tempo aspettava la partenza di questa nave, con l'ausilio dell'Interpol greca e la polizia egiziana».

Inizialmente era stato condannato a morte?
«È vero, ma poi la pena venne tramutata in 25 anni di carcere duro: ne ho scontati 20, stretto in una cella quasi senza finestre e con un solo obiettivo, rivedere il mare della mia Giulianova. Uscì per buona condotta».

Cosa ricorda?
«Vidi di tutto lì dentro: i fondamentalisti che avevano ucciso Sadat, le perquisizioni delle guardie che diventano pestaggi. A me, mai. Mi hanno sempre rispettato».

Gli episodi che hanno segnato la detenzione?
«Davanti al blocco del carcere c'era una pietra tonda, di marmo, pesava 200 chili. Io la presi e la sollevai. Gli altri detenuti, la polizia mi videro. Lo feci per sfida, per evitare che qualcuno mi desse fastidio, anche se il rispetto l'ho conquistato con la gentilezza».

Poi?
«Seppi anche che il capo delle guardie carcerarie era l'allenatore della nazionale di canottaggio egiziana. Diventammo amici grazie a questa passione comune. Lui andava ad allenare gli atleti ad Assuan, mi portava il karkadè. E mi permetteva di allenarmi».

In carcere incontrò anche il giudice Falcone?
«Un giorno arrivarono, per interrogarmi, i giudici Giovanni Falcone e Giuseppe Ayala. Feci scena muta e, nonostante tutto, quando andò via, Falcone mi disse: "Fioravante, è vero che sei arrivato al top della delinquenza, ma tu sei fatto di un'altra pasta". Quella frase mi cambiò la vita, mi portò sulla retta via. "Non puoi sbagliare, la strada ce l'hai davanti" disse ancora. Frasi che non ho mai dimenticato».

Poi il ritorno a Giulianova.
«Tornato a casa ho lavorato come gestore dell'unico distributore di carburante al porto e ho ripreso a remare e a fare traversate con il pattino».

Perché remare?
«È la mia passione, lo faccio con un fine nobile, la battaglia contro la violenza sulle donne. Siamo, infatti, partiti da dall'esperienza giuliese fino ad estenderla a tutti e sette i Comuni della costa teramana».

Ha dato vita a diverse traversate in pattino dall'Adriatico e un paio volte c'era anche l'ex procuratore di Teramo, Gianfranco Jadecola.
«Le abbiamo dovuto sospendere per il Covid, ma l'altra mattina ho telefonato al magistrato e gli ho detto che dobbiamo allenarci perché la prossima estate si riparte per un'altra traversata dalla Croazia al porto di Giulianova in pattino, un'esperienza che affascina anche i miei cittadini, oggi mi hanno perdonato per quello che ho fatto in passato e mi vogliono tutti bene».

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