Il blitz di Antony Blinken in Israele si è concluso con il suono delle sirene. Qualche proiettile è stato intercettato poco lontano dal suo albergo di Tel Aviv, costringendo una parte della delegazione a correre nei rifugi sotterranei. E per il capo della diplomazia Usa è stato un segnale chiaro: il conflitto è lontano dalla sua fine. Blinken lo sa bene ed è per questo che, prima di lasciare Israele per l’Arabia Saudita, ha voluto lanciare di nuovo un messaggio nei confronti di Benjamin Netanyahu. «Dal 7 ottobre di un anno fa, Israele ha raggiunto la maggior parte dei suoi obiettivi strategici per quanto riguarda Gaza. Ora è il momento di trasformare questi successi in un successo strategico a lungo termine» ha detto il segretario di Stato Usa. Ma sulle intenzioni del premier israeliano, Washington continua ad avere forti dubbi. La speranza di Blinken è che la morte di Yahya Sinwar si trasformi in una finestra d’opportunità per raggiungere un accordo con Hamas sugli ostaggi e su una tregua a Gaza. Nelle ultime ore, qualcosa si è mosso.
LA TRATTATIVA
Dall’Egitto è stata avanzata una prima proposta: un cessate il fuoco di 12 giorni e il rilascio di sei rapiti. Una pausa delle ostilità brevissima, che servirebbe come prova di fiducia tra le parti in attesa di un negoziato più ampio. Ma l’impressione è che né Israele né Hamas abbiano modificato quelle richieste che hanno paralizzato le trattative in estate. Washington lavora da un anno per arrivare a un’intesa. Ma tutto dipende dal campo di battaglia. E in questo momento l’Idf non sembra intenzionata a fermare le sue operazioni, tanto che qualcuno (anche nell’Amministrazione Biden) teme che l’esercito israeliano stia procedendo verso un vero e proprio assedio di tutta la parte nord della Striscia. Ventimila persone hanno già lasciato Jabalya, dove è in corso una delle battaglie più cruente. E lo scenario preoccupa le Nazioni Unite ma anche i partner arabi degli Usa, con cui Washington tenta una continua mediazione. La prova è stata anche il viaggio di ieri di Blinken a Riad, dove ha incontrato il principe ereditario Mohammed bin Salman e il ministro degli Esteri, il principe Faisal bin Farhan Al Saud. Al centro dei colloqui la possibilità di una tregua e anche la ricostruzione di Gaza. Ma alla Casa Bianca sanno che si dovrà passare dalla normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita. E la guerra, in questo momento, è un ostacolo insormontabile.
I RISCHI
Per gli Stati Uniti è una partita difficile, ma indispensabile. Perché per limitare l’Iran, hanno bisogno che Tel Aviv e governi arabi collaborino, soprattutto ora che temono che la vendetta israeliana sull’Iran possa innescare una nuova escalation in tutto il Medio Oriente. Ieri, il ministro della Difesa Yoav Gallant dalla base di Hatzerim ha avvertito direttamente Teheran. «Dopo che avremo colpito, tutti capiranno cosa avete fatto nel processo di preparazione e addestramento», ha detto il ministro. Frasi che sono arrivate dopo l’incontro con Blinken e mentre continuano a tenere banco i documenti trafugati dal Pentagono che hanno svelato i preparativi del presunto piano d’attacco israeliano contro l’Iran. “Files” in cui è stata confermata per la prima volta l’esistenza di un drone “segreto”, l’Ra-01. L’attacco alla Repubblica islamica sarà un momento determinante. Non solo per Israele e l’Iran, ma per tutti i fronti di guerra. Su tutti il Libano, epicentro di una delle operazioni più complesse dell’Idf. Le forze israeliane ieri hanno ordinato anche l’evacuazione di Tiro, invitando i cittadini ad andare a nord del fiume Awali per non rimanere sotto le bombe. Hezbollah, che ha confermato la morte del suo potenziale leader, Hashem Safieddine, ha lanciato di nuovo missili e droni contro Haifa, Tel Aviv e le basi nel nord di Israele. E la paura della comunità internazionale è che il Libano sia ormai vicino al collasso. I Paesi Brics, riuniti a Kazan, hanno chiesto a Israele di «preservare l’integrità del Paese», mentre oggi, a Parigi, si apre la conferenza internazionale sul Libano. Un vertice che il presidente francese Emmanuel Macron ha voluto a ogni costo. E in ballo non ci sono soltanto gli aiuti e la tregua, ma anche gli equilibri internazionali nel futuro di Beirut.