L'editoriale del direttore Roberto Napoletano: il futuro appartiene a tutti

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Se l'agenzia americana di rating Standard & Poor's mette nero su bianco che sul Prodotto interno lordo italiano (Pil) le previsioni sono rosee e la consorella Fitch cambia la prospettiva da stabile a positiva, sarebbe auspicabile che si attutisse per un po' il solito rumore autodistruttivo italiano. Sarebbe auspicabile, comunque la si pensi politicamente, prendere atto che questo governo non ha sbracato sulla finanza pubblica e ha rimosso dalla strada dello sviluppo i macigni del superbonus con il suo carico di pesanti distorsioni e le degenerazioni assistenziali del reddito di cittadinanza. Cosa ben diversa dal sacrosanto sostegno ai poveri e, in genere, a chi soffre per davvero.

Sarebbe auspicabile che, partendo dal fatto che non sono stati commessi errori in economia che avrebbero portato l'Italia nel caos da molti addirittura dati per scontati, tutta la classe politica acquisisse la consapevolezza che è ora fondamentale non disunirsi. Che si hanno davanti quasi tre anni di finestra per attuare tutti insieme riforme serie, consolidare e ulteriormente rilanciare la crescita. Per fare quelle cose che tutti sanno che si devono fare e che possono lasciare un segno per il dopo. 

C'è anche una finestra nella finestra che aiuta questo processo e deriva dal fatto che almeno fino a marzo-aprile continuerà la riduzione dei tassi e questo contribuisce a non fermare l'economia. Il punto è che la politica italiana tutta, anche chi si colloca per mandato popolare all'opposizione ed è parte determinante della democrazia e della forza di questo Paese, avrebbe il dovere di riconoscere i nostri elementi di forza. A partire da una posizione finanziaria netta positiva, che non ha ad esempio la Spagna, e da una performance post Covid della economia italiana che è la migliore tra le grandi europee con una crescita superiore alla media nazionale del nostro Sud dopo un quarto di secolo da fanalino del fanalino di coda europeo che era l'Italia. Valori che in sé giustificherebbero una reputazione italiana ancora migliore sui mercati e, di conseguenza, minori costi per interessi che è il vero vincolo alla crescita.

Bisogna che le forze politiche italiane prendano esempio per la loro azione dal piccolo Portogallo che in pochi anni, grazie al dialogo costruttivo di destra e sinistra, è riuscito a ridurre in modo molto significativo il rapporto debito/Pil facendo una seria revisione della spesa, rendendo più flessibile la sua economia e rilanciando gli investimenti. Oggi come spread il Portogallo si colloca subito dopo Germania e Olanda e, per capirci, davanti all'Austria. È riuscito in questo modo a liberare un punto di Pil l'anno che sono tutte risorse per potere investire e creare lavoro. 

Occorre che tutte le forze politiche italiane si convincano che questo risultato portoghese, legato a un'economia nemmeno comparabile con quella italiana né in termini dimensionali né qualitativi, è prima di tutto frutto di un contesto nazionale dove la lotta politica non si fa dicendo «tu hai distrutto l'economia», ma ragionando e competendo sulla distribuzione del reddito, sullo stato sociale e, diciamo per sintetizzare, agendo come si fa in un Paese civile. Dove si compete verso il meglio, non verso il peggio. Non si compete a chi fa più bonus, ma piuttosto a chi fa più investimenti o a chi è capace di attrarne di più. Proprio quello che si sta sperimentando con la zona economica speciale unica (Zes) dove i primi segnali forti per il Mezzogiorno si sono già visti e sono i germogli di una pianta da fare crescere tutti insieme, non da fare appassire con palate di polemiche strumentali quotidiane.

Anche perché la domanda estera è quella che è con la Germania in recessione e la Cina che non è più quella di una volta. Questo, alla lunga, non può non incidere in misura sempre più rilevante anche sugli investimenti privati di quella parte produttiva del Paese legata strutturalmente a questi due mercati. Per questo è fondamentale fare insieme tutte le riforme di struttura e dare forza propulsiva a quella già avviata della macchina degli investimenti pubblici che, a sua volta, sostiene quelli privati. 

Non basta più, cosa buona e giusta da riconoscere all'Italia, continuare a fare l'esatto contrario della Francia che si è messa a spendere i soldi e continua a spenderli. Così, buttando soldi e avendo governi deboli, il debito anche alla Francia già costa di più e, in futuro, sempre di più costerà. La Francia ha fatto l'esatto opposto di quello che ha fatto il Portogallo. L'Italia è oggi nelle condizioni per sfruttare la doppia finestra di stabilità e di calo dei tassi, sia pure tardivo, purché la politica si riunisca e faccia insieme quelle riforme di aggiustamento strutturale della spesa, di riduzione delle rendite e di sostegno finanziario e operativo agli investimenti, che devono acquisire una dimensione condivisa di lungo corso. 

Non c'è altra strada per rompere il circolo vizioso che continua ingiustamente a renderci vulnerabili. Per cui paghiamo ancora un sacco di interessi ingiustificati ai rentiers che si comprano i titoli sovrani italiani che servono per pagare stipendi e pensioni. Per cui rimaniamo vulnerabili e paghiamo il costo a ogni difficoltà internazionale, che sono ovviamente ricorrenti, a causa delle guerre in corso e della fragilità del quadro geopolitico. Dentro una terza guerra mondiale a pezzetti non si fa politica dicendo «tu hai distrutto l'economia», soprattutto quando non è vero, ma facendo valere le proprie ragioni e costruendo insieme il futuro. 

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