Meloni ai magistrati: «Basta giudici politicizzati, per alcuni di loro sono un problema». Scintille con Schlein

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Conserva per la fine l’affondo più duro. Giorgia Meloni è un fiume in piena dal palco dei Magazzini del cotone a Genova, nel giorno del comizio finale del centrodestra per tirare la volata a Marco Bucci. «Sì, so di essere un problema». La premier parla ai magistrati. O meglio, «alle correnti politicizzate della magistratura». E consegna un duro monito alle toghe con cui il governo ha ingaggiato un nuovo scontro sui migranti. «Andremo avanti con le riforme: giustizia, premierato, autonomia». E ancora: «Dicono che vogliamo il controllo della politica sulla magistratura. Veramente la riforma dice che il Parlamento non elegge più una parte del Csm, casomai lo togliamo il controllo della politica sulla magistratura».

LO SCONTRO

Una Genova tormentata dalla pioggia battente accoglie la presidente del Consiglio e i suoi alleati Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi sulle banchine del porto. È il giorno di Bucci, il sindaco lanciato nella corsa a governatore, l’uomo che può riconquistare al centrodestra la Liguria. Nonostante il caso Toti, le inchieste, i crucci del governo. Come il caos al ministero della Cultura di Alessandro Giuli, su cui incombe la puntata di Report domani sera, ad urne aperte. Meloni prende di petto il problema a due giorni dal secondo anniversario di governo.

«So di essere un problema per alcuni», scandisce la timoniera di Palazzo Chigi, pantaloni neri e sneakers, in sottofondo “Il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano. Legge la mail di Paternello, il giudice finito nella bufera per aver scritto ai colleghi che Meloni «non agisce per interesse personale, ma per convinzione» e questo la rende «più pericolosa». «Ringrazio e confermo», replica lei dal palco genovese. Solo due giorni fa ha chiesto ai militanti di FdI con un sondaggio via mail cosa ne pensano del governo, dei ministri, il premierato e l’autonomia. In mezzo un passaggio sulle toghe. «Un giudice, Silvia Albano, non ha convalidato il trattenimento dei migranti in Albania» recita la domanda. Di qui le crocette: ha fatto bene, ha sbagliato, non lo so. È ancora alta tensione, nonostante la moral suasion del Colle.

Calza l’elmetto la leader di Fratelli d’Italia. Tira stoccate ai rivali Giuseppe Conte ed Elly Schlein, al campo largo radunato sotto il diluvio di Genova per l’ultimo comizio. Sulla manovra e i tagli alla Sanità lo scontro si infiamma. Ed è Meloni-show: «Come si fa a dire che tagliamo, può darsi che a sinistra siano scarsi in matematica, regaliamogli una calcolatrice» scherza la premier. «Allora, fate i conti con me ok? Nessuno ha messo soldi come noi, per la Sanità nel 2025 ci sono 136,5 miliardi». Schlein ribatte al vetriolo poco dopo: «I conti? La premier mente». In serata, sull’aereo di ritorno (di linea) la premier incontra Conte insieme a Tajani e il clima è un altro: battute e risate a iosa.

In platea a Genova circa cinquecento persone, qualche deputato, ministri. Leghisti in pettorina regalano focacce. Una quarantina di balneari si presentano vestiti di felpe rosso scarlatto, protestano in piedi per la ghigliottina della Bolkestein che si è abbattuta sulle concessioni. Sono elettori di “Giorgia” delusi dal “tradimento” del governo che è venuto incontro alle indicazioni Ue. «Ragazzi, ci vediamo dopo, ne parliamo» prova a placarli Meloni. Li incontra davvero, dieci minuti sotto il palco. Ma può promettere poco: i giochi sono fatti, le concessioni andranno a gara come chiede Bruxelles. «Le avevamo dato fiducia in cabina elettorale», mugugnano loro a margine.

L’OMBRA DI TOTI

Sul palco si alternano i leader. Li precede Bucci, che incassa la standing ovation quando torna sulla malattia, un cancro, che pure non ha fermato la candidatura. «Ci ho messo la faccia, non era la situazione migliore per farlo, ma era il mio dovere». Tutti in piedi. Uno ad uno i capi-partito gli fanno scudo. Salvini chiama «uomini piccoli» chi, dalle opposizioni, ha messo nel mirino le condizioni di salute di Bucci. Meloni fa lo stesso: «Ha avuto grande coraggio e non smetterò di ringraziarlo». Si respira ottimismo tra le poltroncine blu dei Magazzini, solcate in lungo e in largo da un frenetico Giovanni Donzelli. E forse per questo restano sull’uscio guai e pensieri scomodi.

Meloni non si ferma con i giornalisti, nomina solo una volta Giuli: «La sinistra ce l’ha con il suo “apocalittismo difensivo” perché in realtà lo hanno inventato loro». Salvini sbeffeggia Report: «Domenica sera spengo la tv e ascolto De Andrè». È l’unico, il capo della Lega, a chiamare l’applauso (tiepidissimo) per Giovanni Toti, l’ex governatore finito agli arresti che ha patteggiato e ai Magazzini non si fa vedere: «Siamo qui grazie a lui, non c’è niente da cancellare». Poi evoca Trump, mentre Meloni sorride attenta a non battere le mani: «È fondamentale che le elezioni Usa vadano in una certa maniera..». Adombra possibili brogli, la Regione al voto domani «is too big to rig» dice citando il Tycoon. Anche il pacato Tajani si scalda sul punto e mette in guardia: «Mettete le galosce e andate a votare, batteremo il generale Inverno. Non vogliamo che qualcuno faccia il gioco delle tre schede..». La Liguria come l’Arizona. O l’Ohio. Per tutti comunque sarà il voto della verità.

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