La lista dei “Paesi sicuri” da cui provengono i migranti definita per legge, dal governo. E la legge «i giudici non possono disapplicarla». Semmai, ha detto ieri a margine del Consiglio dei ministri il Guardasigilli Carlo Nordio, «possono sollevare conflitto di attribuzione di fronte alla Corte Costituzionale».
È un decreto snello, quello approntato nel week end dai tecnici di Palazzo Chigi e via Arenula. Basta però per aprire una nuova fase nella gestione dell’emergenza migratoria. Il testo riscrive anzitutto l’elenco degli Stati definiti “sicuri” dal governo. Non è un dettaglio: solo i migranti che provengono da questi Paesi possono essere sottoposti alle “procedure accelerate di frontiera” nei nuovi centri in Albania.
Migranti, Nordio: sentenza Corte Ue non compresa o ben letta
IL NUOVO ELENCO
Tre nomi vengono spuntati dalla lista: Nigeria, Camerun, Colombia. Sono Paesi che prevedono eccezioni territoriali - ovvero solo alcune zone sono sicure, altre no - e dunque devono essere espunti come prevede la nuova sentenza della Corte di Giustizia europea. In tutto, l’elenco passa da ventidue a diciannove Stati. Nel decreto legge sono definiti “sicuri” Paesi come il Ghana e la Georgia, la Costa d’Avorio e l’Algeria. Ci sono anche Egitto e Bangladesh su cui l’Ue potrebbe avere da ridire: ieri un portavoce della Commissione ha annunciato che l’esecutivo europeo stilerà una sua lista di “Safe States” in attuazione del nuovo patto di Migrazione e asilo.
La lista italiana, così prevede il Dl fresco di via libera, sarà aggiornata su base annuale e sottoposta al parere delle competenti commissioni parlamentari. Mentre nel nuovo provvedimento non è entrata un’altra questione dirimente, come invece si prevedeva alla vigilia: la potestà dei ricorsi giurisdizionali contro le decisioni delle “commissioni territoriali” del Viminale sui rimpatri. Sul tavolo del governo era finita l’idea di un intervento sulle impugnazioni. E sullo sfondo aleggiava perfino un’idea cara alla Lega e già proposta all’indomani del caso di Iolanda Apostolico, la giudice che ha disapplicato il “decreto Cutro”: spostare la competenza dei ricorsi dalle sezioni migranti dei tribunali alle Corti di Appello, considerate politicamente meno orientate.
Ma alla fine ha prevalso l’idea di rinviare, di evitare nuove tensioni con la magistratura. Intanto il decreto legge approvato entra a gamba tesa sui ricorsi dei giudici. Lo hanno detto ieri sia Nordio che Mantovano: d’ora in poi i togati dei tribunali chiamati a giudicare la legittimità delle decisioni prese dal Viminale avranno un perimetro più ristretto entro cui muoversi. Non starà a loro decidere se un Paese è sicuro o meno: dovranno attenersi - questa è la tesi a Palazzo Chigi - alla lista dei Paesi aggiornata ed elevata a norma di rango primario dal governo. Una soluzione che «consente ai giudici di avere un parametro rispetto a un’ondivaga interpretazione» annota Piantedosi. Se il decreto fosse entrato in vigore la scorsa settimana - per capire - i giudici del tribunale di Roma non avrebbero potuto annullare l’invio dei primi sedici migranti nei centri appena inaugurati in Albania. Di loro dieci erano bengalesi, sei egiziani: entrambi i Paesi sono definiti sicuri dalla nuova lista.
LE INCOGNITE
Ovviamente non mancano incognite e complicazioni. Stando alla sentenza dello scorso 4 ottobre della Corte Ue di Lussemburgo, potrebbero essere diversi i Paesi da considerare “non più sicuri” perché presentano “eccezioni territoriali”. Alcuni di questi sono rimasti per ora nella lista italiana: dal Perù al Ghana alla Costa d’Avorio. E non finisce qui. Un’altra grana per il governo potrebbe arrivare dalla Corte di Cassazione. Chiamata in causa con un quesito pregiudiziale a inizio luglio proprio dal Tribunale di Roma nell’occhio del ciclone e competente per le procedure del protocollo italo-albanese.
Ebbene, il prossimo 4 dicembre la Corte di Piazza Cavour dovrà decidere se i giudici dei tribunali possono mantenere una certa discrezionalità nella valutazione sulla denominazione di Paese sicuro o dovranno semplicemente attenersi alla lista stilata dal governo. A Palazzo Chigi sono convinti che prevarrà la seconda interpretazione, ora che quella lista è stata incastonata in un decreto legge.