Migranti in Albania, in arrivo il decreto per salvare i Cpr: la novità sui Paesi "sicuri" e "non sicuri". Cosa cambia

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Si terrà oggi alle 18 l'atteso Consiglio dei ministri con focus sui migranti, dopo un weekend di scontro frontale tra toghe ed esecutivo. Da un lato il processo Open Arms col vicepremier Salvini sotto accusa a Palermo, dall'altro la decisione del Tribunale di Roma di far rientrare in Italia i 12 migranti trasferiti nei centri in Albania in nome di una sentenza europea. Ed è proprio per comprendere come superare questo scoglio giuridico, che rischia di far naufragare l'intera intesa Roma-Tirana, che la premier Meloni ha riunito il Cdm, il cui obiettivo sarà, con tutta probabilità, promulgare un decreto sui paesi "sicuri" o "non sicuri",  la questione nevralgica del contendere. 

Il decreto per "salvare" i Cpr in Albania

Egitto e Bangladesh, gli stati da cui provengono i migranti sbarcati prima a Schengjin e poi fatti rientrare in Italia, non sono Paesi sicuri.

Su questa evidenza si basa la decisione del Tribunale di Roma, definita «abnorme» dal Guardasigilli Nordio. I giudici si sono appellati a una sentenza della Corte di Giustizia dell'Ue che poche settimane fa aveva ricordato che un Paese può essere considerato sicuro solo se è sicuro per tutte le minoranze e in tutte le parti del suo territorio.

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E ora, per superare quella sentenza, il governo starebbe pensando a un provvedimento per rendere norma primaria (dunque con forza di legge), e non più secondaria come il decreto interministeriale, l'indicazione dei Paesi sicuri, verso i quali è più facile disporre rimpatri. Di modo che per i giudici sia più complesso ignorarla tout court e affidarsi alla superiorità gerarchica delle norme Ue. Oggi sono 22 gli Stati che l'Italia considera sicuri e questo elenco potrebbe essere "ricopiato" nel decreto-legge. Anche se, fa notare qualcuno, pure le leggi ordinarie sono sottoposte alla Costituzione e al diritto europeo. 

Il secondo grado per i ricorsi

Obiettivi della maggioranza, però, sarebbero anche altri, più tecnici. In primis, si potrebbero stabilire parametri proprio per decidere se un Paese è sicuro o meno e ridurre così la discrezionalità dei giudici. Poi, l'esecutivo starebbe pensando a ricorsi in Appello contro le decisioni dei tribunali che non convalidano il trattenimento dei migranti nei Cpr, come accaduto in Albania. Possibilità già introdotta, nel decreto flussi, per le richieste di asilo e poco apprezzata dai 26 presidenti delle Corti d'Appello, che hanno subito lamentato organici ridotti e sovraccarico di cause. 

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Oggi, infatti, i ricorsi sono possibili solo in Cassazione, che non valuta nel merito ma solo formalmente. Inserendo un appello, invece, si avrebbe la possibilità di una seconda valutazione da parte di giudici diversi e, soprattutto, è il ragionamento, si guadagnerebbe tempo utile a bloccare le ordinanze che non convalidano i trattenimenti. Anche su questo punto, però, potrebbero sorgere problemi di incostituzionalità. 

Insomma, il decreto che il Cdm dovrebbe licenziare in serata promette un nuovo scontro tra esecutivo e magistratura, con toni talmente tesi che nel fine settimana il presidente dell'Anm Santalucia ha puntualizzato che «la magistratura non ha compiti politici ma di rispetto dei diritti e delle garanzie delle persone». 

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