«Né Trump né Harris». Il Washington Post stavolta non si schiera

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Negli ultimi 36 anni, il Washington Post ha sempre scelto un candidato da sostenere alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Quest’anno, mentre ci si avvicina alle elezioni più indecise e divisive della storia contemporanea, il quotidiano di Washington ha deciso che non farà alcun endorsement. Il suo Ceo ed editore, Will Lewis, ha detto che il giornale vuole tornare alle sue origini, «alle nostre radici di non appoggiare alcun candidato alla presidenza». Lo ha scritto in un editoriale pubblicato ieri sulla versione online del Washington Post, citando una regola rispettata religiosamente fino al 1976, quando dopo aver pubblicato l’articolo che ha portato allo scandalo del Watergate, ha deciso di sostenere il democratico Jimmy Carter. L’ultima volta in cui il Post decise di non fare un endorsement è stato il 1988, quando George H. W. Bush distrusse il democratico Michael Dukakis, 426 collegi elettorali contro 111. La scelta non è stata ben accettata dalla redazione che ha saputo all’ultimo le posizioni del giornale in quella che è stata definita «una riunione molto tesa» da parte di diverse fonti anonime. E oltre a questo porta il Washington Post - giornale di proprietà del miliardario Jeff Bezos, che avrebbe imposto di non sostenere la Harris con un messaggio whattsapp - in un territorio nuovo: nelle ultime due elezioni il quotidiano è stato un forte sostenitore dei candidati democratici, opponendosi in modo netto a Donald Trump.

Inoltre nel 2019 quando il giornale aveva deciso di inserire nella sua homepage lo slogan «Democracy dies in Darkness» («La democrazia muore nell’oscurità»), in tanti avevano visto quella frase di Bob Woodward come un monito all’America di Trump e ai suoi attacchi alla stampa. David Maraniss, reporter e redattore del Post vincitore del premio Pulitzer, ha detto: «Il giornale in cui ho amato lavorare per 47 anni sta morendo nell’oscurità». L'ex direttore del Washington Post, Martin Baron, ha condannato duramente la decisione. «È una scelta codarda, un momento di oscurità che lascerà la democrazia come vittima», ha dichiarato Baron in un comunicato per NPR. «Donald Trump festeggerà questo come un invito a intimidire ulteriormente il proprietario del Post, Jeff Bezos (e altri proprietari di media). La storia segnerà un capitolo inquietante di mancanza di spina dorsale in un’istituzione famosa per il suo coraggio», ha continuato.

La scelta del Washington Post arriva a pochi giorni da un’altra importante vicenda legata al sostegno dei candidati: il proprietario del Los Angeles Times, il miliardario e amico di Elon Musk Patrick Soon-Shiong, ha portato alle dimissioni il direttore della pagina delle opinioni e di due membri del comitato editoriale. Il motivo? Mariel Garza, a capo della pagina delle opinioni del quotidiano di Los Angeles, ha dato le sue dimissioni dopo che Soon-Shiong ha bloccato il suo editoriale in cui spiegava perché il giornale avrebbe sostenuto Kamala Harris. «Non pensavo che avremmo cambiato idea ai nostri lettori — la maggior parte di loro sostiene Harris» ha detto Garza aggiungendo: «Questo è un momento in cui si deve esprimere la propria coscienza, indipendentemente da tutto. E un endorsement era il passo logico dopo una serie di editoriali in cui abbiamo scritto di quanto Trump sia pericoloso per la democrazia, della sua inadeguatezza come presidente, delle sue minacce di incarcerare i suoi nemici. Abbiamo sostenuto, editoriale dopo editoriale, che non dovrebbe essere rieletto».

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Tra i giornali anglosassoni più influenti e come da tradizione, il New York Times ha dato il suo sostegno a Kamala Harris. In un editoriale a settembre dal titolo “The only choice” (“L’unica scelta”), il quotidiano sostiene che «sia difficile immaginare un candidato meno degno di essere presidente degli Stati Uniti di Donald Trump. Ha dimostrato di essere moralmente inadatto a una carica che richiede al suo titolare di mettere il bene della nazione sopra gli interessi personali. Ha dimostrato di essere caratterialmente inadatto per un ruolo che richiede proprio quelle qualità — saggezza, onestà, empatia, coraggio, moderazione, umiltà, disciplina — di cui è maggiormente carente». Di recente invece il tabloid New York Post ha fatto l’endorsement a Trump, definendolo «la scelta giusta» dopo che nel 2022 aveva definito «indegno di essere di nuovo il capo esecutivo di questo Paese».

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