di Giuseppe Crimaldi
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Ha pianto. Ha implorato perdono, disperandosi per quello che ha fatto. Ha fornito un’ampia confessione. Solo su un punto Renato Caiafa, nell’interrogatorio reso venerdì pomeriggio in Questura, non ha convinto gli inquirenti: e cioè su come abbia fatto a procurarsi quella pistola calibro 9x21 dalla quale è partito il colpo micidiale che ha ucciso il suo amico Arcangelo Correra. Ed è proprio questa la sola zona d’ombra, il tassello che per gli investigatori manca ancora per chiudere il caso. «Quell’arma l’abbiamo trovata per caso quella stessa notte - ha detto il 19enne ora in stato di fermo a Poggioreale - Eravamo seduti su una panchina della “piazzetta” (piazza Sedil Capuano, ndr), stavamo parlando del più e del meno, fumando qualche “canna”, quando abbiamo notato un bagliore proveniente dalla ruota di una macchina parcheggiata sul lato di via Tribunali». Stando alla versione del ragazzo, lui, Correra e il 17enne incuriositi da quel riluccicare si sarebbero avvicinati all’auto. Qui sarebbe comparsa l’arma: «E sullo pneumatico della ruota posteriore abbiamo trovato la pistola. Non sapevo se fosse vera o un’arma giocattolo, non ne avevo mai maneggiata una», ha proseguito l’indagato. «Quello che è successo subito dopo è stata una disgrazia, me ne sono reso conto quando l’ho visto a terra, io non avrei mai fatto del male ad “Angioletto”, mai», ha concluso.