Trump, Charles Kupchan: «Biden ha sbagliato sull'immigrazione». L'ex consigliere di Clinton e Obama spiega perché (anche) gli USA vanno a destra

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È stato consigliere di politica estera delle Amministrazioni Clinton e Obama e oggi Charles Kupchan è senior fellow del Council on Foreign Relations (CFR) e professore di affari internazionali alla Georgetown University.

Professore, è d'accordo con chi dice che il partito democratico è stato punito perché si è spostato troppo a sinistra?
«La vittoria decisiva di Trump è stata la prova dell'insoddisfazione nei confronti dell'amministrazione Biden-Harris, anche perché il partito ha spinto un'agenda sociale che l'ala moderata ha difficoltà ad accettare.

Ma un problema più grande è che stiamo vivendo un periodo di dislocazione socio-economica causato dall'automazione e dall'ascesa dell'economia digitale, che sta minando il contratto sociale dell'era industriale».


Quindi "it's the economy, stupid", come diceva Clinton?
«A cui dobbiamo aggiungere gli errori che Biden ha fatto fin dall'inizio sull'immigrazione, quando ha pensato di poter abbandonare le politiche del pugno duro che aveva adottato Trump, e si è trovato con una enorme pressione ai confini. Biden ha fatto l'errore di voler essere l'agente della "restaurazione", di pensare di tornare all'epoca in cui il mondo era diviso in buoni e cattivi, il mondo del passato, quando oggi abbiamo sfide diverse ed enormi. E gli Stati Uniti devono scoprire come condividere il potere con il resto del mondo, inclusa la Cina».
Quali sono le sfide più grandi?
«L'Occidente deve mettere ordine nella propria casa. Deve assicurare al cittadino medio un lavoro dignitoso e sufficiente. Nell'epoca digitale non può essere la catena di montaggio. Dobbiamo allenare i nostri cittadini ai lavori del futuro, che saranno soprattutto nel settore dei servizi. Insieme all'Europa stiamo vivendo un punto di svolta storico, e l'elettorato esprime la sua insoddisfazione».
Votando a destra
«Sì, il pendolo politico si sta allontanando dal centro e si sta spostando a destra, qui come in Europa, in Francia, in Germania».
E quale sarà la ricetta di Trump?
«In realtà per l'elettore tipico di Trump, cioè l'uomo bianco con poca istruzione che vive nel west deindustrializzato, sarebbero state molto meglio le politiche proposte da Kamala Harris. La sua agenda sarà di cominciare subito con l'alzare le tariffe doganali, e di tagliare le tasse. Immagino che userà Elon Musk per sforbiciare un po' in qualche ministero, per risparmiare qualche soldo. Ma le sue politiche porteranno a una riduzione delle entrate fiscali, mentre le spese per i grandi programmi federali, social security, Medicare, difesa e l'interesse sul debito continueranno a crescere. Il suo programma economico è fumo negli occhi».
E invece in politica estera, cosa significa "America First" in questo secondo mandato, un neo-isolazionismo?
«No, neanche Trump può immaginare di ritirarsi dal mondo, ricordiamo che lui è un transazionalista, non un isolazionista. Tuttavia se io fossi l'Ucraina mi preparerei a dover negoziare la fine della guerra, mentre se fossi Netanyahu mi preparerei ad avere mano libera per finire il lavoro cominciato contro Hamas e Hezbollah e forse anche l'Iran».
E le tariffe doganali?
«Quelle saranno il suo primo atto. Ci crede. Ma rischierà di frammentare l'economia mondiale. È possibile che vedremo delle guerre commerciali, barriere protezionistiche, nazionalismi economici, come accadde nel 1930. Le conseguenze potrebbero essere gigantesche. Se poi davvero imporrà tariffe del 60% sulla Cina, farà saltare per aria l'economia mondiale, e quello mi spaventa».
 

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