Turetta, la strategia difensiva per evitare l'ergastolo: dal comportamento collaborativo alla rinuncia dei testimoni, le mosse dell'avvocato

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Più di cinque ore di fronte a giudici togati e giuria popolare, tra lunghi silenzi, balbettamenti, frasi infarcite di «cioè», «penso che», «in un certo senso», «non lo so», e solo a tratti concluse. L’esame di Filippo Turetta ha mostrato alla Corte d’Assise di Venezia una persona in forte difficoltà; un ragazzo in balìa di una vera e propria ossessione per Giulia Cecchettin, maturata nell’ambito di un rapporto basato su un malato senso di possesso e di gelosia («È stata la mia prima e unica fidanzata»); di una rabbia che non era in grado di controllare e che lo ha portato, l’11 novembre dello scorso anno, ad uccidere la persona con cui più di ogni altra avrebbe desiderato condividere la vita, incapace di accettare la decisione con cui la ragazza aveva deciso di porre fine alla loro relazione e di non vedersi più. Di fronte ad un delitto ricostruito nei minimi dettagli dai carabinieri, coordinati dal pm Andrea Petroni, e ad una responsabilità confessata fin dal primo interrogatorio dal ventiduenne di Torreglia (poi confermata attraverso un lungo memoriale depositato alla Corte mercoledì scorso e, infine, ieri in aula), il legale padovano si è affidato all’unica strada percorribile: far emergere un comportamento processuale collaborativo del suo assistito, così da poter sperare nella concessione delle attenuanti generiche per bilanciare le aggravanti e sperare di poter evitare l’ergastolo.

IL MEMORIALE

Ecco spiegata la decisione di rinunciare a tutti i testimoni, consentendo l’acquisizione del fascicolo integrale d’indagine (una sorta di rito abbreviato senza sconto di un terzo) e accelerando il processo. E la confessione di ieri, in aula, resa da un imputato (che si definisce «timido e introverso»), apparso confuso, sempre a testa bassa, che fatica ad esprimere in maniera compiuta un pensiero articolato. Ma, fin dalle prime battute, disposto ad ammettere ogni cosa. L’interrogatorio parte con un riferimento al memoriale, e Turetta spiega che ha iniziato a scriverlo in carcere dallo scorso febbraio, per poi implementarlo e aggiornarlo: 81 pagine, in parte manoscritte, in parte dattiloscritte. Quindi il pm si concentra sulla lista che Turetta ammette di aver compilato martedì 7 novembre 2023, quattro giorni prima di uccidere Giulia. «Avevo pensato di rapire lei e, successivamente, di toglierle la vita», dichiara Filippo, validando in un sol colpo l’ipotesi di omicidio volontario e della premeditazione. Anche se più avanti preciserà che quel pensiero fino all’ultimo «non era definitivo».

LA LISTA

Il giovane ricorda di aver litigato con Giulia: «Ero arrabbiato, provavo risentimento: mi sono sfogato scrivendo quella lista». E conferma di aver attuato, nei giorni successivi, numerosi dei propositi elencati in quella lista: l’abbonamento ad una rete Vpn per navigare in Internet senza essere identificato; il prelievo di 200 euro al bancomat, il primo e unico eseguito da inizio anno; le informazioni cercate in Rete per capire come un’auto può evitare di essere rintracciata; l’acquisto di sacchi e di una cartina stradale dell’Italia. Ciò nonostante Turetta ha dichiarato di essere rimasto indeciso su cosa fare fino a quando, la sera dell’11 novembre 2023, arrivò in auto a Vigonovo per riportare a casa Giulia, dopo la serata trascorsa insieme. Nel parcheggio, prima che la ex scendesse dall’auto, le regalò una scimmietta. Fu il rifiuto di quel dono a far scattare in Turetta il pensiero che «quello sarebbe stato il momento giusto per rapirla». Tra un silenzio e un balbettamento, c’è stato anche un accenno di commozione e qualche lacrima. In chiusura di udienza Turetta ha spiegato anche perché non ha mai chiesto scusa. «Vorrei ma credo sia ridicolo vista la grave ingiustizia che ho commesso. Semplici scuse non sono qualcosa di accettabile, dovrei solo sparire».

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