Un percorso a ostacoli. Costellato da una serie di incognite su tempi, modi e – soprattutto – risorse. Non si annuncia in discesa il cammino dell’Autonomia differenziata “2.0”, la riforma firmata dal ministro leghista Roberto Calderoli che ora dovrà essere riveduta e corretta alla luce della sentenza della Consulta, che l’ha dichiarata incostituzionale in sette punti sostanziali. E non solo perché non è ancora chiaro quale sarà il destino del referendum abrogativo che incombe (incombeva?) sulla legge. Superato, come suggerisce il Guardasigilli Carlo Nordio e si dice convinto buona parte del centrodestra? «Non si può fare un referendum su una legge che già sappiamo dovrà essere modificata», suona il ragionamento che corre dentro Fratelli d’Italia. Oppure tutt’altro che alle spalle, visto che «il quesito propone l’abrogazione dell’intero ddl Calderoli, non solo di qualche punto»? La pensa così non solo la Cgil di Maurizio Landini, che ha raccolto le firme per indire la consultazione insieme a Pd, M5S, Avs e Iv. Ma pure le cinque regioni a guida centrosinistra che hanno richiesto il ricorso alle urne. «Aspettiamo di leggere la sentenza», è la linea condivisa dai presidenti rosso-gialli, «ma per noi non cambia nulla: si va avanti come prima».
I TEMPI
Un’indicazione più chiara su cosa ne sarà della consultazione potrebbe arrivare a dicembre, quando la Cassazione – una volta che il verdetto della Consulta sarà depositato – dirà la sua sull’attualità del quesito. Poi la palla passerà di nuovo alla Corte costituzionale, con ogni probabilità all’inizio del 2025. Ed è improbabile che la discussione su come modificare la riforma entri nel vivo prima di quella data. Fino alla fine dell’anno infatti le Camere saranno intasate di provvedimenti tra Manovra, decreti legge da convertire (ne scadono sette) e nomina dei nuovi giudici costituzionali. Se ne riparla a gennaio, dunque. O forse ancora più in là. Perché a voler rispettare la “grammatica” istituzionale, il nuovo testo del ddl Calderoli andrebbe incardinato alla Camera, visto che in prima battuta era stato il Senato a elaborarlo. Peccato che la prima commissione di Montecitorio, competente per materia, sia già oberata: alle prese con la riforma della Corte dei conti, premierato e separazione delle carriere. E Forza Italia ha già fatto sapere ai partner di maggioranza che sull’ultimo punto, cavallo di battaglia degli azzurri, non intende accettare ulteriori rinvii. Prima si porta in dirittura d’arrivo la separazione di giudici e pm, è in sostanza il messaggio, poi si tornerà a parlare di autonomia. E pazienza se la Lega intende brandire lo scalpo della riforma in tempo per le Regionali in Veneto di giugno: «Non ostacoleremo il percorso, l’Autonomia è nel programma», dice chi segue il dossier per gli azzurri. «Ma la volontà di accelerare ha portato alla bocciatura della Corte. Non si possono ripetere due volte gli stessi errori». Valutazione condivisa nella sostanza da FdI.
I NODI
C’è poi il nodo del “come” intervenire. E qui bisognerà innanzitutto leggere le motivazioni del verdetto, per capire «quanto la sentenza sia prescrittiva sugli interventi da fare e quanto invece si limiti a indicarli lasciando libertà sul metodo», spiegano dal partito di Giorgia Meloni. Tradotto: basterà la semplice legge delega annunciata da Calderoli? Se così fosse, si tratterebbe di far approvare al parlamento una “cornice” legislativa, mentre sarebbe poi sempre il governo a riempirla di contenuti. Dentro FdI ne dubitano. «Dal momento che la Consulta prescrive il massimo coinvolgimento possibile del Parlamento, una legge delega non sembra lo strumento più adeguato», riflette chi segue il dossier. C’è poi un’altra domanda a cui si dovrà rispondere a stretto giro: le intese con le regioni sulle materie “non Lep”, quelle cioè per cui non è prevista la definizione di un livello essenziale delle prestazioni (dal commercio con l’estero alla protezione civile), possono ancora essere siglate, in attesa del nuovo testo? Calderoli e i governatori leghisti del Nord sono convinti i sì. Fonti di governo vicine a FI e FdI, invece, nutrono molti più dubbi: «Andare avanti ora sarebbe una forzatura». «Occorre prudenza», ripete il vicepremier azzurro Antonio Tajani. Prima di riservare una stoccata al titolare degli Affari regionali che aveva invitato le opposizioni a «tacere»: «Il linguaggio di Calderoli non mi appartiene, i rilievi della Consulta rispecchiano i dubbi già sollevati da Forza Italia». E pure da FdI, fanno eco i meloniani: «Dalla centralità del parlamento al rafforzamento del tema della coesione nazionale».
C’è poi un’ultima incognita, quella delle risorse. Perché la sentenza stabilisce che i Lep non possono essere definiti col criterio della spesa storica, ma bisogna quantificare – e possibilmente, trovare – i fondi necessari. Un dettaglio non da poco. Che sommato agli altri nodi da sciogliere, fa capire come l’orizzonte pe run nuovo via libera non sarà breve. Del resto il titolare dei Rapporti col Parlamento, Luca Ciriani, l’aveva già fatto capire: «L’Autonomia? C’è tutto il tempo, manca ancora un sacco di tempo alla fine della legislatura». Senza fretta. E con buona pace delle scadenze elettorali.
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