Donatella Finocchiaro: «Sono stata vittima di violenze fisiche e psicologiche, anche da un compagno più giovane di me»

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Cattivissima suocera nella serie tv I leoni di Sicilia di Paolo Genovese, battagliera sindaca nel nuovo film Paradiso in vendita di Luca Barbareschi (nelle sale a marzo 2025), tranquilla e sorridente al telefono. La catanese - trapiantata a Roma da quasi vent'anni - Donatella Finocchiaro, 53 anni, è una sorpresa continua. Che si racconta senza tanti filtri. 

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Teatro, cinema e tv sempre di ottimo livello: cosa c'è voluto per lavorare ventidue anni così?
«Se mi devo riconoscere un merito è quello di aver sempre scelto da sola. Ci sono tanti attori che fanno anche film importanti e poi spariscono perché si sono fatti guidare. Io sono ancora qui e non mi posso lamentare». 


Mai pentita di niente?
«Sì, certo. Ho rifiutato un film di Alice Rohrwacher, per esempio. Ma ero super stressata e non ce l'avrei fatta fisicamente». 


Quale?
«Sembra brutto dirlo, dai... Poi l'ha fatto un'altra attrice». 


Le sue scelte le fa più con coraggio o incoscienza?
«Tutte e due. Se un progetto mi piace, mi butto anche se è un'opera prima o a basso costo. Se sento che ne vale la pena, ci sono. Ovviamente a volte mi è andata bene, altre no».


Per accettare di lavorare con Luca Barbareschi ha dovuto vincere qualche resistenza ideologica?
«Sì. Avevo mille remore su di lui, come tanti, ma quando l'ho conosciuto mi ha stregato. Luca è un uomo di grande fascino, colto e intelligente. Ed è anche un bravissimo regista. Non me l'aspettavo proprio». 


Coraggiosa o incosciente anche nella vita?
«No. Ma vorrei esserlo. Ho un self-control eccessivo. Vorrei abbandonarmi totalmente, però mi chiedo sempre: se lo facessi chi diventerei? Non lo so...».


Sul suo conto c'è un equivoco più ricorrente di altri?
«Sì. Per tanta gente sono un'attrice e una donna drammatica. E invece nella vita per fortuna sono una persona solare. Una cazzona. Si può dire?».


L’ha detto. Vorrebbe fare commedie?
«Magari. Però come si facevano una volta, adesso in giro di belle ne vedo pochine. Se mi chiama Checco Zalone accetto senz'altro».


Due anni fa in teatro con “La Lupa” di Verga ha curato la sua prima regia: è pronta anche per un film?
«Sì. Con Luana Rondinelli abbiamo riscritto e portato in scena La Lupa in una chiave moderna e femminista. Contro la violenza sulle donne. Dirigere mi piace tantissimo, così adesso ho un nuovo progetto in corso. Vediamo se riuscirò a trasformarlo in un film o altro».


Anche lei è stata vittima di violenze?
«Sì. Sia fisiche che psicologiche. È successo quando avevo 24, 37 e anche 50 anni, vittima di un compagno più giovane di me. Il clichè è sempre stato lo stesso: questi uomini si sono avvicinati perché non avevano la mia stessa vitalità e si sono attaccati a me per assorbirla. Quando mi sono resa conto di questo meccanismo mi sono chiesta: io do tutto, loro niente. Che rapporto è? Subito dopo, però, mi hanno fatto sentire inferiore, insultandomi e minacciandomi. Con l'autostima a pezzi, sono andata nel pallone. Ho avuto dei dubbi anche su me stessa». 


È vero che da giovane fu spesso malmenata da un suo fidanzato?
«Sì. Avevo 24 anni, perdonavo il fatto che lui perdesse il controllo e alzasse le mani e i piedi. Dopo un anno di promesse e di scuse, ho capito che non sarebbe mai cambiato, che non era amore ma un'ossessione, e sono scappata. Uscire fuori da queste esperienze con uomini manipolatori non è facile. E oggi sono molto preoccupata per il futuro di mia figlia Nina, che oggi ha dieci anni». 


La cosa più importante che le ha insegnato?
«Proteggere l'autostima. E ricordarsi sempre che l'amore è dare e ricevere, non solo dare e basta».


Lei e il padre di sua figlia siete in buoni rapporti?
«Sì, ora siamo in pace. Facciamo anche le vacanze insieme. Ci siamo lasciati otto anni fa, ma i primi anni sono stati terribili». 


Ho letto che era in cerca di un maschio illuminato: l'ha trovato? 
«Per niente. E pensare che l'anno scorso ci avevo quasi creduto (ride, ndr). Mi sono imbattuta in un uomo che sembrava, sembrava ma alla fine era un bluff. Troppo insicuro. Non se l'è sentita di condividere la sua vita con una donna autonoma, che c'è e non c'è, e ha le sue passioni. Peccato, però sapeva che facevo l'attrice, non l'impiegata alle Poste. Voleva la quotidianità. Io quando sto due, tre mesi fuori casa non riesco a garantirla neanche a mia figlia...».


Ha mai dubitato del suo lavoro?
«No. Per me è il più bello del mondo. Sono fortunata a fare ciò che amo».


Giovanna Mezzogiorno dice he il mondo del cinema è crudele perché dopo essere ingrassata durante la gravidanza è stata esclusa e nessuna l'ha mai aiutata: che ne pensa? A lei com’è andata?
«Io dopo il parto sono stata due anni con sette chili in più e tutti mi dicevano di dimagrire in fretta. Un regista non mi scritturò perché troppo in carne... Ho fatto tutte le diete del mondo, ma per via degli ormoni non perdevo peso. Poi ho smesso di allattare e ho provato quella del gruppo sanguigno, l'unica che mi ha dato risultati. A quelli del cinema, comunque, non fregava niente di me. L'importante è rispettare il solito modello di bellezza: essere magri e giovani. Da questo punto di vista la moda, lo spettacolo, la comunicazione sono mondi malati. Perché nei film un uomo della mia età ha sempre una compagna più giovane di almeno vent’anni??».


Per lei, invecchiando, cos'è cambiato?
«Dopo i quarant'anni le mie scritture sono sicuramente diminuite. Il nostro cinema è maschilista. La tv è un po' più aperta e adesso bei ruoli femminili, da protagonista, ne offre sempre di più. Io mi difendo perché alterno teatro, cinema e tv».

 
Oggi a chi deve dire il primo grazie?
«A mia figlia Nina. Mi ha liberata dalla mia ossessione individualista. Mi ha aperto lo sguardo verso il prossimo. Lei e le mie amiche siciliane e romane. Affetti veri, di cui mi fido. Sono le mie anime gemelle, siamo donne che si sono scelte».


Si deve emancipare da qualcosa?
«Sicuramente da una certa soggezione nei confronti degli uomini. Ci sto lavorando perché fondamentalmente noi donne ce l'abbiamo un po’ nel dna questa cosa».


Quando è in coppia di solito cosa le rimproverano?
«Mi dicono che sono troppo distaccata, che sto troppo per i fatti miei. Forse un po’ è vero».


Arrivata a quasi 54 anni il suo bilancio com’è?
«Buono, ma potevo raccogliere qualcosa in più e sento di poterlo farlo. Ho ancora tanta energia». 


In passato l'azienda cartotecnica di suo padre fu attaccata dalla mafia: cosa cambiò nella vostra famiglia dopo quell’esperienza?
«Ero piccola. Ricordo che distrussero l'impianto di produzione. Quei fatti ci fecero vivere a lungo con la paura che succedesse qualcosa di brutto a tutti noi. Capimmo che la mafia era vicina».


È vero che da giovane voleva fare la suora? 
«Sì. Ma lo sa perché? Per quella tensione spirituale che sento anche oggi e mi porta a fare meditazione yoga e altre attività che mi mettono in connessione con me stessa».


Che ne pensa dell'utero in affitto?
«Che sia considerato reato universale mi sembra eccessivo, ma ci sono tanti bambini orfani che muoiono di fame: meglio adottare».


Lo farebbe mai? 
«Non potrei mai. Fatico a capire come una donna possa fare una cosa simile».


L'errore che ancora le brucia?
«Aver rinunciato a lavorare in Francia. Nel 2002 film Angela di Roberta Torre lì andò benissimo e mi volevano, ma io in Italia avevo tanto lavoro e non me la sentii. Sono un po' pigra. E poi non sono così ambiziosa, tante cose mi sono capitate per caso. Non sa quanti provini in americano ho rifiutato». 


Il prossimo impegno qual è?
«A metà novembre il nuovo film di Elisa Amoruso di The Good Mothers. Interpreterò una psicanalista».

A proposito, la cito, la sua analista che le dice riguardo al fatto che incontra solo narcisisti patologici?

«Che sono una persona empatica: mi prendo cura soprattutto dei bisogni dell'altro, non dei miei. Devo lavorare anche su questo».

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