Giancarlo Giorgetti ha un atteggiamento fondamentalmente understatement, ma sta portando a casa risultati che altri non hanno saputo realizzare. L'Italia torna quest'anno all'avanzo primario, che vuol dire un bilancio pubblico in attivo al netto della spesa per interessi, lo fa prima della Germania e lo conserverà fino al 2029 non per qualche declamazione politica ma per quanto è confermato nelle previsioni del "Fiscal Monitor" del Fondo monetario internazionale che non è mai stato tenero con noi.
La reputazione internazionale riconquistata è in questi numeri americani che esprimono fiducia in una politica economica che piace ai mercati perché unisce prudenza fiscale e crescita produttiva tenute insieme con il cemento della stabilità politica e di una chiarezza di rotta che non si vedeva da tempo. La stessa revisione in positivo dell'outlook di due delle tre agenzie internazionali che hanno già valutato il nostro Paese, benché ancora le pagelle siano molto distanti da un giudizio obiettivo nei confronti della nostra economia, denota un evidente cambio di passo nel giudizio sull'Italia.
Non si tratta più di dire onestamente che chi guida la politica economica non ha fatto gli errori che tutti si aspettavano dal primo governo di destra-centro, ma di prendere piuttosto atto che si è riusciti a sostenere il potere di acquisto dei redditi più bassi continuando a ridurre il deficit rispetto al Pil e preservando una traiettoria realistica di rientro del debito che dà sicurezza agli investitori esteri e interni.
Agli osservatori italiani affetti da una propensione inguaribile al catastrofismo sfugge che siamo seduti su quasi 100 miliardi in più di prodotto interno lordo, frutto di una crescita realizzata negli ultimi anni ma non "catturata" precedentemente dalle rilevazioni statistiche, che dà ulteriore solidità ai nostri conti che hanno ormai conquistato una credibilità internazionale di lungo termine.
La conferma
La conferma arriva dalle serie storiche del già citato Fondo Monetario Internazionale dal 2024 al 2029: siamo l'unico Paese, insieme con la Germania che arriva dopo di noi, ad essere indicato stabilmente con un avanzo primario positivo. Anzi, la Germania si ferma allo zero virgola, e noi siamo sopra l'1% con in progressione oltre dieci miliardi all'anno in più di entrate rispetto alle uscite. Per capire la dimensione reale di questi indicatori, è bene sapere che Stati Uniti e Francia, ad esempio, non avranno avanzi ma deficit primari di diversi punti dopo che i primi hanno fatto la crescita pompando nell'economia 9 mila miliardi di debito pubblico e la seconda oltre 800 miliardi pari a quasi quattro volte il debito post pandemico fatto dall'Italia, ovviamente sempre escludendo la spesa per interessi.
La crescita
Tutto questo dentro un quadro reale (2019-2024) e previsionale (2025-2026) che delinea uno scenario nel quale noi abbiamo la maggiore crescita tra i grandi Paesi europei e addirittura siamo i primi in quella pro capite grazie a un'economia che ha saputo esportare meglio di tutti, a un Mezzogiorno che dopo un quarto di secolo è tornato a crescere più della media nazionale, e a un boom turistico e di servizi che non accenna a fermarsi. L'Italia si colloca, insomma, molto meglio di quello che si dice dal punto di vista della finanza pubblica continuando a crescere. Questo è merito di un lavoro silenzioso di regia della politica economica che si è rivelato, alla prova dei fatti, espressione di una persona che parla poco e fa molto.
Il Piano Strutturale di Bilancio
Pensate solo questo per un attimo: mentre la Germania non riesce ancora neppure a capire come fare a portare a Bruxelles il suo Piano Strutturale di Bilancio e lo stesso cancelliere ha dovuto licenziare il ministro dell'economia perché ai suoi occhi incapace, nel frattempo Giorgetti ha invece già fatto il Piano Strutturale di Bilancio che sicuramente sarà apprezzato perché, con un preciso impegno a mantenere bassa la spesa primaria, consentirà ai conti italiani di migliorare ulteriormente.
I "nuovi tedeschi"
I "nuovi tedeschi" della vecchia Europa, nella virtù della finanza pubblica, siamo diventati noi italiani. Con l'atout ulteriore che sulla crescita nessuno ci può dare lezioni e, nonostante gli evidenti contraccolpi della crisi tedesca sulla nostra manifattura, abbiamo fin qui viaggiato a ritmi rilevanti. La stessa commissione europea con le sue previsioni del 15 novembre ha dimostrato fiducia che l'Italia trasformi il Pnrr in nuova crescita del Pil nel biennio 2025/26 e, soprattutto, dal Sud come in tutto il Paese questi segnali si riscontrano ogni giorno. Da una parte c'è una prudenza tedesca inconcludente, dall'altra c'è quella di Giorgetti che si traduce in una prudenza concludente e determina un Piano Strutturale di Bilancio sul quale ragionevolmente nessuno potrà dire nulla.
La stabilità italiana
Questi sono i fatti, che non hanno colore politico, e che il lamentoso dibattito italiano fa fatica ad afferrare ma che il mondo comincia a capire ogni giorno di più. Se non altro perché in una fragilità europea, dove anche la Spagna ha le sue lacerazioni politiche e civili, oltre alle evidenti precarietà tedesca e francese, l'unica stabilità che sopravvive è quella italiana, peraltro, in un contesto geopolitico di guerre che ci attribuisce centralità nel Mediterraneo e nei nuovi equilibri mondiali. Per gli investitori e gli analisti globali, state tranquilli, non è poco. È il credito internazionale di lungo termine riconquistato.