Napoli, i luoghi del futuro che pochi conoscono: il promemoria partenopeo del direttore Roberto Napoletano

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Sono stato martedì a Scampia, popolosa periferia di Napoli, conosciuta ingiustamente nel mondo solo per il buco nero delle Vele con il suo carico ignobile di spaccio e di morte. Ho risposto a un invito della preside, Daniela Conte, per un incontro con gli studenti dell'Istituto tecnico industriale (Iti) Galileo Ferraris che è frequentato da oltre duemila allievi con 101 classi. Si respira nell'aria uno spirito di dinamismo e di vitalità che mettono di buonumore.

Sono entrato in una officina del futuro, che mi ha ricordato le scuole tecniche dei grandi distretti del made in Italy, e mi ha colpito la competenza e la curiosità delle domande dei ragazzi che non aveva scritto nessuno per loro. A tratti mi è sembrato di dialogare con studenti di un Politecnico più che di una scuola tecnica e ho scolpite dentro di me queste immagini.

Sono le prime sequenze di un film di rinascita che appartiene a un copione vero e avrebbe bisogno di un buon regista per mettere in scena l'ordine e il valore di quello che ho visto. Un buon regista che dovrebbe anche fare visita alle facoltà scientifiche della università Federico II che si presenta con una struttura circolare moderna, laboratori, aula magna, sale operatorie e ambulatori, e che si trova lì a meno di un chilometro dall'istituto tecnico con porte aperte a tutti.

Al momento del congedo il vicepreside, Gennaro Borgia, quasi si scusa: avremmo voluto organizzare l'incontro al teatro-auditorium della scuola, ma c'è il cantiere del Pnrr che sta facendo i lavori di ristrutturazione. Ovunque vado a Napoli inciampo in cantieri aperti, ma se leggo i giornali scopro che non esistono e, spesso, mi domando perché si vuole nascondere la verità. Pasquale mi riporta al giornale e dalla macchina mi segnala un edificio moderno di aste metalliche irregolari che è la stazione della metropolitana di Scampia: la prendono tutti, mi dice, ragazzi, docenti, chi vive qui, a qualsiasi ora. Vuole dirmi che la prendono tutti e si sentono sicuri. All'esterno della stazione, di fronte all'uscita, ci sono i murales di Jorit con i volti di Pier Paolo Pasolini e Angela Davis, due spiriti liberi. All'interno della stazione ci sono le foto di Luciano Romano di musicisti e cantanti napoletani a figura intera, ritratti in bianco e nero tra controluce solare e illuminazione artificiale. Anche questo è Scampia.

In una giornata per me complicata, sempre della scorsa settimana, sono scappato all'inaugurazione della "fabbrica italiana dell'innovazione" a San Giovanni a Teduccio, altra grande periferia urbana di Napoli in mezzo al guado di un progetto ambizioso di rigenerazione urbana. Volevo rendermi conto di persona e pensavo che avrei fatto tutto in poco tempo. Non è stato possibile perché il padrone di casa, travolto dall'entusiasmo, ha rivelato qualche problemino con l'orologio, ma il sodo che mi è rimasto dentro è altro. In quel luogo del futuro c'erano imprenditori e finanziatori che hanno scommesso con soldi loro sulla grande sfida dell'innovazione e del digitale in un'area dove c'è la più alta concentrazione di start up giovanili e l'osmosi con l'Apple Academy è ormai una realtà.
Tutto ciò che si sta facendo, anche negli spazi culturali, è realizzato in gran parte con soldi privati. La più grande delle sfide da vincere è quella di restituire al quartiere la bellezza del suo mare come già è avvenuto, ad esempio, per Portici e Castellammare di Stabia.

Perché, come ha ricordato qualcuno autorevolmente, la ricerca ha successo quando la si fa in un luogo dove si vive bene. Servono, soprattutto, imprenditori che hanno voglia di rischiare con soldi propri e di farlo alla luce del sole. Che sono l'esatto opposto di quelli che ripetono sempre che manca la visione e non cacciano un euro. Hanno sempre un loro progetto, ovviamente migliore, da fare finanziare con i soldi pubblici.

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