Accusato di omicidio a soli quindici anni. Portato in Questura, dovrà rispondere di un’accusa gravissima: quella di aver concorso nel delitto di un coetaneo, di aver contribuito ad uccidere il 15enne Emanuele Tufano nella notte tra mercoledì e giovedì scorso, a Napoli. Da un lato Tufano, un ragazzo incensurato, che è stato ucciso da un colpo di pistola alla schiena mentre era in sella al proprio scooter. Dall’altro, un suo coetaneo, sospettato di aver svolto un ruolo nella morte del ragazzino e appena un anno e mezzo fa accusato di aver preso parte all’aggressione armata (a colpi di coltello) di un cittadino bengalese. Non era solo, secondo le indagini. Anzi, avrebbe fatto parte di una sorta di “paranza” di piazza Mercato, tutti giovanissimi e pronti a difendere il proprio territorio dalle scorrerie di altri gruppi, quelli che arrivano da altre parti della città e usano la zona pedonale di piazza Mercato come una pista per le proprie evoluzioni in sella a uno scooter. In quella cornice di odio tra bande ci sarebbe stato un altro violentissimo precedente: circa un mese fa tra le due bande di minori si sarebbe scatenata una rissa durante la quale un componente del Rione Sanità avrebbe staccato a morsi l’orecchio ad un rivale del Mercato.
LA VITTIMA
Aveva soltanto 15 anni Emanuele, figlio di una famiglia di lavoratori, gente estranea alla camorra, assassinato nel corso di una furiosa sparatoria avvenuta poco dopo l’una e mezza della notte tra mercoledì e giovedì in un vicolo che si distacca dal centralissimo corso Umberto per congiungersi nella casbah del Lavinaio, zona che di notte si percorre a proprio rischio e pericolo. Il ragazzo è uscito di casa mercoledì sera per vedersi con alcuni amici, con lui c’erano almeno un 17enne e un 14enne, tutti incensurati. Dove si siano diretti e perché resta uno dei tanti misteri da chiarire in questa tragedia. All’una e mezza incrociano un altro gruppo di giovanissimi armati fino ai denti. Le due comitive si conoscevano già, tra loro esistevano rancori pregressi, ma se - come pure si ipotizza - si fossero dati un appuntamento saranno le indagini della polizia a dimostrarlo. Fatto sta che Emanuele, a bordo di uno scooter che aveva in uso, e la coppia di amichetti che lo affiancano in sella ad un secondo ciclomotore, intuiscono di essere finiti in una trappola. Iniziano a fuggire imboccando via del Carminiello al Mercato, ed è qui che si scatena un inferno di piombo e fuoco: vengono esplosi almeno dieci, dodici colpi di pistola, una sparatoria furiosa i cui segni testimonieranno, alle prime luci dell’alba, la evidente volontà di uccidere da parte dei killer. Emanuele, mentre tenta di fuggire, viene centrato alla schiena da uno dei proiettili: un solo colpo, ma fatale, che gli penetra nel polmone. Il ragazzo muore sul colpo. In quel fuoco incrociato - a sparare sono state pistole di diverso calibro, tra le quali una 9 Parabellum - finiscono anche i due compagni di Emanuele, i quali riescono tuttavia a fuggire, per presentarsi poco dopo al pronto soccorso dell’ospedale Cto: il 17enne ha un proiettile conficcato in un braccio mentre il 14enne presenta numerose escoriazioni al volto e agli arti. Nessuno dei due è in pericolo di vita. L’inseguimento è durato per circa 200 metri, come testimoniano le ogive dei colpi che si sono infrante in alcune vetrine, nei lunotti di ben quattro autovetture.
LE INDAGINI
I feriti hanno raccontato agli agenti della Squadra mobile diretta da Giovanni Leuci una bugia: «Abbiamo subìto un tentativo di rapina». Non è così. Iniziano i sopralluoghi della Scientifica in via del Carminiello. Vengono acquisite le immagini di una decina di impianti di videosorveglianza pubblica e privata, si iniziano a scandagliare tutti i fotogrammi che potrebbero aver immortalato i sicari e i ragazzini in fuga. E si mettono al lavoro due Procure: quella ordinaria e quella dei minori, con altrettanti fascicoli in co-delega anche con la Direzione distrettuale antimafia, perché al momento nessuno scenario può essere escluso. Nelle prossime ore verranno anche riascoltati i due ragazzini sopravvissuti: sono loro i veri custodi di una verità (forse anche scomoda) che va fatta per individuare i killer.