Un ammonimento alle toghe “politicizzate”. Questa volta scritto nero su bianco. Hai criticato apertamente un decreto del governo con un editoriale, in un convegno, sui social network, e ti ritrovi a dover giudicare su quello stesso decreto? Devi astenerti, far spazio a un altro collega con la toga, per ragioni «di convenienza». Altrimenti scattano le sanzioni del Consiglio superiore della magistratura: ammonimento, censura, perfino sospensione.
È una norma che farà discutere, quella contenuta nel provvedimento sulla giustizia che il governo bollinerà lunedì prossimo in Consiglio dei ministri. Che fra l’altro introduce una stretta sui reati informatici e la violazione dei database all’origine degli scandali sui dossieraggi che da mesi preoccupano la premier Giorgia Meloni e l’intero governo: l’impulso sulle indagini, come anticipato, passerà alla procura Antimafia e per chi verrà sorpreso a trafugare informazioni riservate dai database pubblici scatterà l’arresto in flagranza. Una piccola, grande rivoluzione.
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La svolta
Ma la novità che più avrà i riflettori addosso, in una fase che ha visto riaccendersi le tensioni tra maggioranza e magistratura, è quella sulle sanzioni disciplinari ai magistrati che vengono meno, per citare il Guardasigilli Carlo Nordio, al loro «dovere di imparzialità». È il vecchio sogno berlusconiano: se le toghe fanno politica devono togliersi la toga di dosso. Da sogno a realtà, si direbbe leggendo il testo abbozzato dal governo.
Ebbene d’ora in poi alle ragioni che giustificano un intervento disciplinare del Csm se ne aggiunge un’altra: «La consapevole inosservanza del dovere di astensione nei casi in cui è espressamente previsto dalla legge l’obbligo di astenersi o quando sussistono gravi ragioni di convenienza».
È tutto qui, nell’ultima frase, il significato della svolta. I giudici hanno il «dovere di astenersi» se sono chiamati a giudicare su una vicenda per cui si sono già espressi ed esposti pubblicamente. A Palazzo Chigi non confermano. Ma è chiaro come la nuova sanzione prenda le mosse dal recente tiro alla fune tra le sezioni immigrazione dei tribunali e il governo sul patto fra Italia e Albania per i riconoscimenti extraterritoriali dei migranti. Con la levata di scudi delle toghe e la richiesta di intervenire alla Corte di Giustizia europea contro il “decreto Paesi sicuri” approvato dal centrodestra per scavalcare l’ostacolo e far ripartire i trasferimenti in Albania.
Nel fuoco di fila della maggioranza era finita, poche settimane fa, la giudice Silvia Albano, una delle toghe del tribunale di Roma che si è rifiutata di convalidare il trattenimento di 12 migranti nel centro italiano in Albania.
Presidente di Magistratura democratica, la corrente togata “di sinistra” ai ferri corti con Palazzo Chigi, è finita nel mirino della maggioranza perché più volte, nei mesi scorsi, aveva apertamente e duramente criticato il governo per l’accordo albanese su cui si è ritrovata a emettere un verdetto. Per alcune minacce ricevute sui social il Viminale le ha rafforzato la scorta. Insomma, toghe “di parte” avvisate. Facile immaginare che la nuova norma rialzi il polverone con l’Associazione nazionale magistrati, ormai da settimane impegnata a duellare con la destra al governo e a denunciare invasioni di campo.
E chissà cosa ne pensa Sergio Mattarella, il Capo dello Stato che solo pochi giorni fa ha richiamato al rispetto tra poteri dello Stato. Intanto il governo va avanti. Proprio come ha fatto spostando la competenza sui trattenimenti dei migranti dalle sezioni immigrazione dei tribunali alle Corti d’Appello. Presentato dalla responsabile immigrazione di Fratelli d’Italia Sara Kelany, l’emendamento è stato bollinato giorni fa dal ministero della Giustizia di Nordio. Dunque nessun passo indietro.
Nel decreto, si diceva, entra la stretta sui reati informatici. Anche questa non casuale. Arriva al culmine dello scandalo dossieraggi, riacceso con l’indagine della Dda di Milano contro la “centrale degli spioni” che trafugava milioni di informazioni dalle banche dati del Viminale su personaggi pubblici, figure politiche di primo piano come la premier e sua sorella Arianna, ministri, imprenditori e finanzieri.
Dopo due settimane di riflessioni “tecniche”, così le aveva definite il sottosegretario Alfredo Mantovano, ecco la quadra. L’impulso per il reato di estorsione tramite mezzi informatici passerà all’Antimafia. Sarà insomma la procura guidata da Giovanni Melillo ad avviare le indagini contro spioni e funzionari infedeli che trafugano dati e li usano per montare un mercato nero dei dossier. Ipotesi già emersa e che ha fatto alzare qualche sopracciglio al Viminale.
Stop ai dossieraggi
Non è tutto: con il decreto pronto al varo di Palazzo Chigi viene introdotto l’arresto in flagranza di reato per «il delitto di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico in sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico». Tradotto: manette ai polsi per chi viene sorpreso a violare le banche dati del governo. Proprio ciò di cui è stato accusato dai pm di Perugia il finanziere Pasquale Striano, nell’indagine che ha dato il via allo “scandalo dossieraggi”.
Uno, due, tre. Lunedì il governo riaprirà il fronte con le toghe “di parte”. Cioè “di sinistra”. L’antipasto della riforma delle carriere di giudici e pm che galoppa in Parlamento. Sarà un caldissimo Natale.