Ranieri alla Roma, l'eterno ritorno in giallorosso: «Siamo pronti per la riscossa». Contratto fino al 2025

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Un uomo così non poteva restarsene su di una panchina, magari sgarrupata, di un qualche giardinetto pubblico, magari diserbato, a guardare il dentro e fuori dei ragazzini alle prese con il pallone, quei pochi per i quali i genitori non investono sogni e soldi nelle scuole calcio che t’insegnano gli schemi ma il saltar l’uomo e il tocco di classe un po’ meno. Gli toccava un’altra panchina, forse sgangherata anch’essa, ed i ragazzi da metter dentro o fuori (dentro Dybala, sempre, appena si può, rinnovo o non rinnovo) sono quelli di Trigoria e dell’Olimpico, che al nostro non fanno paura, visto che una volta approfittò dell’intervallo d’un derby per togliere di mezzo (al campo) sia Totti che De Rossi, all’epoca intoccabili, anche se poi s’è visto come è andata a finire, americanate senza happy end.

L’uomo così è stato chiamato ed amato in tutte le lingue del calcio: Sor, Sir, Senor, Monsieur; all’anagrafe è solo Claudio Ranieri, testaccino, il sangue un frullato di giallo e di rosso, uno che, dicono, da piccolo pischelli e no apostrofavano “Er Fettina” per via del paterno mestiere di macellaio. C’è chi dice pure che ai primi calci lo mandassero spesso in porta, lui che voleva fare l’attaccante, seguendo quella selezione naturale che i ragazzini conoscono e tanti maghi e maestri del calcio moderno no. E forse è cominciato lì il suo destino: ha dovuto parare, nella sua lunga carriera, le situazioni più disastrose. Sì, Claudio Ranieri di Testaccio è l’uomo delle missioni impossibili, un Ethan Hunt “de noantri” per restare al personaggio di Tom Cruise e di tutti i suoi sequel. In Inghilterra, ai tempi del Chelsea che lui costruì per poi lasciarlo alle vittorie di Mourinho, avevano preso a chiamarlo “Tinkerman”, l’aggiustatore, che a volte è scrupoloso e a volte pasticcione, ma era una definizione affettuosa. E lui aggiustatore di squadre è stato sempre, oltre che specialista in miracoli. Ecccolo là il nostro eroe: fugace la sua apparizione con la maglia della Roma (6 partite, stagione 1973-74, lui è del 1951, ma sempre più di quelle di Hummels fin qui: c’è tempo per riparare al misfatto); l’esordio con in panchina il filosofo Scopigno: per questo l’avrà poi sempre “presa con filosofia”, cioè leggerezza e signorilità, mai però disimpegno da “chissene” o arroganza da “te lo spiego io il calcio”. Lunghissima la carriera nel Catanzaro, che curiosamente sempre giallorosso è, i numeri raccontano 225 volte, 128 in serie A.

DIFESA E CORAGGIO

Ci arrivò con lui in difesa e con davanti quel re dall’angolo che fu Palanca. Cominciavano i “miracoli”. Dalla panchina, una serie. Arrivò al Cagliari nel 1988: era in Serie C e vinse la Coppa Italia di categoria ed in due anni tornò tra i grandi e riuscì pure a restarci. “Avessi avuto Riva, gli avrei detto ‘gioca dove ti pare’, dichiarò, e questo è già un bel programma per gli ossessionati schemisti d’oggi. Il palmarès è di tutto rispetto: promozione in A, Coppa Italia e Supercoppa Italiana con la Fiorentina, Coppa di Spagna, Intertoto e Supercoppa Uefa con il Valencia, Ligue 2 con il Monaco, (‘o Francia o Spagna’) fino alla meraviglia della Premier League con il Leicester nella stagione 2015-16, che è un’impresa di quelle che gli storici dello sport considerano fra le più incredibili della storia d’ogni disciplina. Mise Gary Lineker in mutande: il grande giocatore (e più grande ancora commentatore: ma quali adanate e cassanate) scommise che avrebbe condotto il suo show in intimo solo che Ranieri riuscisse a miracolare il suo Leicester. Sir Claudio mantenne la vetta della classifica, Gary la parola.

E la Roma? Era il sogno del piccolo testaccino, il sogno dell’allenatore che ha vinto anche il titolo di allenatore dei sogni. Qui lo hanno chiamato, come fosse Santa Rita che risolve i casi disperati, quando gli scarpini erano sull’orlo del baratro o almeno sull’orlo di una crisi di nervi. Due partite due sconfitte, via Spalletti. Quasi quasi vinceva lo scudetto del 2010, non fosse stato per quel pazzesco Pazzini di Roma-Samp. Arrivederci e grazie dopo un 4-3 di sconfitta al Marassi genoano. Era il 2019 quando tornò l’8 marzo (stavolta il ‘cacciato’ era Di Francesco): andò vicino alla qualificazione in Champions (3 punti) ed andò anche via. Entrò in corsa alla Samp per vincere il derby, diventando così l’unico allenatore in Italia a vincere i quattro derby classici (Roma, Milano, Torino e Genova). Ricominciò poi il giro di giostra: rieccolo al Cagliari che sta affondando in Serie B, lo tira su, lo porta in serie A e ce lo fa restare, dopo che è restato lui in panchina perché, dimessosi, i giocatori non gli hanno consentito di andare via, che è l’esatto contrario dei giocatori che in altri casi non ti consentono di restare. E rieccolo, il Sor Claudio. La Champions è lontana che sembra un miraggio. O un miracolo: per questi Ranieri è attrezzato

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