Tiktoker suicida a 21 anni, i genitori: «Sembrava sereno e progettava il futuro. La cattiveria delle persone spesso lo faceva soffrire»

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«Parlava del futuro, delle cose che voleva fare, e poi… poi si è tolto la vita. Non capiremo mai il perché di questo gesto. E questo ci attanaglia» inizia così Silvano, il padre di Nicolò, il tiktoker 21enne di Roma nord che il 16 ottobre ha deciso di farla finita. «L’ultimo video che c’è sul profilo l’ha girato tre ore prima del tragico gesto. Siamo usciti insieme in scooter, abbiamo visto Roma. Sembrava sereno». 

Nicolò, tiktoker suicida a 21 anni. In un video diceva: «Non ce la faccio più». Ma nessuno gli ha creduto: «Non fare la vittima»


LA VICENDA
Un appello disperato quello che aveva comunicato nell’ultimo mese Nicolò sui social. Reels dai toni sempre più cupi, che però sono diventati virali solo dopo il suicidio, raggiungendo migliaia di visualizzazioni. In quei contenuti il giovane parlava dicendo «Non ce la faccio più. Devo ammettere di essere una persona sola, che in questo momento sta soffrendo molto». La mamma e il papà di Nicolò erano consapevoli di quei video e hanno provato ad aiutarlo in tutti i modi. Silvano annuisce e sottolinea: «Non era solo. Aveva una psicologa e una psichiatra. Era seguito, monitorato dall’età dei 16 anni, non c’era nulla di superficiale o lasciato al caso. Dal momento in cui abbiamo capito le sue fragilità abbiamo fatto tutto il possibile, investendo energie e tempo».

Chiara, la madre, ascolta in silenzio il marito e poi aggiunge: «Nostro figlio era un ragazzo intelligente, complesso. Aveva iniziato il percorso universitario alla Rufa, studiava cinema e aveva ottimi voti. Come tutti i ragazzi della sua età aveva dei progetti per il suo futuro, parlava del lavoro che avrebbe fatto e di un cortometraggio che avrebbe dovuto girare in questi giorni… e poi il vuoto». I due genitori vogliono smontare stereotipi e giudizi rapidi, puntando il dito su un male più ampio che affligge i giovani di oggi. «La sofferenza mentale è una bestia subdola. C’è sicuramente un problema grosso a livello giovanile, amplificato dai social e da un contorno che non aiuta» sospira Silvano. «Un mese sembra andare tutto bene, quello dopo cadi nel buio. A Nicolò capitava in certi mesi, come settembre o febbraio. Questo agosto per esempio aveva trascorso delle vacanze bellissime con amici, eppure un mese dopo è crollato». 


IL BULLISMO
Mamma e papà ricordano come l’omosessualità di Nicolò fosse per lui motivo di sofferenza fin dalla tenera età. Ma non per la sua famiglia. «Noi non avevamo pregiudizi» dice Chiara, «ma il mondo sì. Quando andava alla discoteca Muccassassina, si sentiva libero di essere sé stesso. Lì poteva esprimere la sua vera identità. Ma il resto del mondo lo giudicava. C’è tanta gente cattiva lì fuori. Lui già dall’adolescenza era stato bullizzato, anche perché era gay. Veniva deriso e questo lo faceva soffrire molto, fino a fargli perdere autostima». Silvano interviene con forza: «La cattiveria gratuita fa male. Nicolò si era aperto su TikTok cercando comprensione. Ma riceveva indifferenza o, peggio, disprezzo. Alcuni commenti insinuavano che fosse solo alla ricerca di attenzione e di essere una vittima. Tutto ciò lo feriva profondamente».

Inoltre Chiara e Silvano parlano delle relazioni affettive che il ragazzo instaurava e che gli procuravano gravi sofferenze: «Oggi, sui social, sembra che ogni giorno ci sia un giudizio, un rifiuto. Ma Nicolò non voleva fare pena a nessuno. Con i suoi video cercava di condividere il proprio dolore e, nello stesso tempo, voleva dare voce a chi, come lui, soffriva in silenzio. In cambio però riceveva indifferenza. L’indifferenza… è l’arma che fa più male». Silvano, rivolgendosi alle famiglie e alle scuole, lancia un appello: «Non bollate una richiesta d’aiuto. Ascoltate questi ragazzi, fate capire che ci siete». Parlando delle sfide dei giovani avverte: «I social possono portare luce, sì, ma anche oscurità, e chi è fragile spesso si perde in quell’oscurità». 

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