All’indomani della sua vittoria alle elezioni presidenziali Donald Trump non ha nascosto che, nonostante le difficoltà, vuole mantenere «a tutti i costi» la promessa della deportazione di massa di oltre 13 milioni di migranti. Per questo il suo team sta valutando tutte le possibilità per attuare un piano costosissimo e complesso, soprattutto dal punto di vista logistico e legale. Per ora l’idea dei suoi è quella di una rivoluzione al Pentagono, spostando generali e cambiando in parte i vertici, in modo da ridurre le difficoltà interne. Ma certo è che il dipartimento della Difesa non sta a guardare: Cnn scrive citando fonti anonime interne al Pentagono che i generali stanno studiando come arginare le sue proposte, in particolare le due più problematiche.
GLI OSTACOLI
Trump vuole infatti usare l’esercito regolare sul suolo degli Stati Uniti per svolgere diverse missioni, tra le quali la deportazione di massa, e allo stesso tempo prevede di licenziare tutti i dipendenti del Pentagono senza una appartenenza politica o che in passato lo hanno criticato, parlando più volte di una campagna per «ripulire il dipartimento dai corrotti». Non è certo una novità che Trump e i generali abbiano una relazione molto tesa: nei primi quattro anni di presidenza aveva avuto diversi scontri e aveva definito i capi dell’esercito «woke», «deboli», «leader inefficaci». «Ci stiamo preparando per l’ipotesi peggiore anche se per ora non sappiamo cosa succederà», ha detto a Cnn un funzionario.
Inoltre nel corso della campagna elettorale il generale John Kelly, ex capo di gabinetto di Trump, aveva detto che il presidente ha ripetuto più volte che vorrebbe che i generali gli fossero fedeli come lo erano quelli di Adolf Hitler. La questione dell’obbedienza al presidente è molto complicata, visto che è lui il capo dell’esercito. Rachel VanLandingham, ex avvocato dell’esercito, sostiene che «i militari seguiranno gli ordini del presidente». C’è da ricordare però che l’esercito può disobbedire agli ordini del presidente se sono chiaramente contrari alla legge. Inoltre una legge del 1878 - scritta subito dopo la guerra civile per evitare abusi di potere - proibisce di usare l’esercito regolare sul suolo interno per svolgere compiti che dovrebbero dipendere dalla polizia, sempre che il presidente non riceva l’approvazione del Congresso. Ma sembra che Trump non abbia interesse a rispettare queste leggi e, anzi, sia pronto a obbligare decine di agenzie federali a iniziare la caccia ai migranti senza documenti, cercando anche di fare pressioni sulle «città santuario», metropoli liberal come New York o San Francisco che da anni aiutano e proteggono i migranti senza documenti. Il presidente eletto, infatti, non vuole ripetere l’esperienza della sua prima presidenza, quando aveva avuto molte difficoltà nel riportare i migranti nei propri paesi.
I PRECEDENTI
Nel 2023 l’amministrazione Biden è riuscita a deportare più persone rispetto a qualunque anno di Trump, questo perché i dem hanno cercato di recuperare terreno, sapendo che sull’immigrazione i repubblicani avrebbero ottenuto ottimi risultati. Il piano di Trump prevede di coinvolgere tutti gli Stati repubblicani, i diplomatici americani nei paesi di provenienza, fondi federali per arginare le azioni legali e i ribelli degli stati democratici o delle associazioni per la protezione dei migranti. Tra queste l’American Civil Liberties Union, non profit attiva nella protezione dei diritti civili, ha già pronte decine di cause per fermare Trump.
I COSTI
Un aspetto importante è anche la questione economica: un calcolo dell’American Immigration Council, una non profit bipartisan con sede a Washington, prevede che deportare 13,3 milioni di migranti costerà 315 miliardi di dollari, mentre per mantenere un programma annuale che riporti nei propri paesi di origine circa un milione di migranti l’anno vale 88 miliardi. Tutto questo, spiegano diversi economisti, avrebbe un impatto sulle casse federali e sulla vita dei cittadini americani, visto che i migranti irregolari lavorano, producono ricchezza e spendono denaro: un calcolo approssimativo prevede una perdita di tasse di circa 47 miliardi di dollari a livello federale e una diminuzione del Pil del 4-6%. Intanto il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, ha cercato di alleviare le tensioni. Il giorno dopo la vittoria ha detto che il Pentagono condurrà «una transizione calma, ordinata e professionale con l’amministrazione Trump».