C’è una netta differenza tra le promesse di una campagna elettorale combattuta come non mai e la capacità di renderle concrete una volta vinte le elezioni. E ora Donald Trump si trova davanti a una grande sfida, in particolare per mantenere la promessa delle promesse: far finire la guerra in Ucraina in 24 ore. A dire il vero ci sono già stati i primi segnali di disgelo, visto che il presidente russo Vladimir Putin ha definito Trump «un uomo coraggioso» e ha detto di essere pronto a discutere di Ucraina con il presidente eletto. E pare che lo stesso Trump abbia una relazione privilegiata con Putin, tanto che nel 2020, all’inizio della pandemia, mandò al capo del Cremlino dei test per il Covid che non si trovavano in Russia come favore personale. Sul fronte opposto Trump ha telefonato al presidente ucraino Volodymyr Zelensky rassicurandolo sul sostegno americano. Secondo quanto scrive Axios la chiamata non avrebbe «reso Zelensky più disperato», anzi lo avrebbe reso più ottimista, dopo mesi in cui Trump ha detto che avrebbe tolto gli aiuti all’Ucraina. Nel corso della telefonata è intervenuto anche Elon Musk, che ha promesso di continuare a fornire i satelliti Starlink.
Il colpo
Ma cosa ci guadagnano gli Stati Uniti da un possibile riavvicinamento a Mosca? Intanto il più grande colpo, soprattutto per i milioni di elettori che lo hanno votato, sarebbe appunto chiudere la guerra in Ucraina, che Trump ha sempre sostenuto che non sarebbe neppure iniziata se ci fosse stato lui alla Casa Bianca. I Maga sono stanchi di continuare a investire miliardi di dollari per difendere Kiev e non hanno alcun interesse etico a porre fine alla guerra con un buon accordo. Credono infatti che - a costo di svendere parte del territorio a Putin - l’obiettivo principale sia risparmiare i soldi americani e usarli per investire negli Stati Uniti in nuovi posti di lavoro, in aiuti economici per le famiglie in difficoltà, e nel rafforzamento del confine con il Messico, rendendo sempre più difficili gli ingressi dei migranti senza un visto.
La geopolitica
C’è poi la questione geopolitica e qui è molto importante capire il gioco psicologico che Trump potrà fare con Putin. Nonostante tutti gli analisti più accreditati dicano che il presidente russo si «mangerà» Trump con grande facilità e che spingerà per un accordo del tutto sbilanciato - lasciando nelle mani di Mosca la maggior parte dei territori ucraini -, questo però potrebbe essere una tattica strategica per Washington: svendere l’Ucraina per rompere l’asse Cina-Russia, evitando che Mosca venga attratta sempre di più da Pechino. Gli Stati Uniti infatti continuano ad avere enormi interessi nell’area del Pacifico dove la Cina si vuole espandere e dove la situazione di Taiwan appare sempre più in bilico: Washington in questo momento non può permettersi di perdere l’isola dove produce quasi il 50% dei microchip che fanno funzionare i centri cloud, l’intelligenza artificiale, i computer e tutti i dispositivi portatili americani. Avere la Russia vicina potrebbe essere un elemento per dissuadere la Cina dal continuare la sua espansione nel Pacifico, ma anche una buona mossa in vista di una possibile nuova guerra commerciale con Pechino. Guerra commerciale che tuttavia escluderebbe uno scontro diretto con la Cina, perché come dice Stephen Kotkin, storico della Stanford University, gli Stati Uniti farebbero molta fatica a vincere, soprattutto per i numeri: la Cina ha 50 milioni di giovani tra il 18 e i 24 anni, gli Stati Uniti solo 12 milioni. Un'analisi dell’Atlantic Council curata da John E. Herbst, ex ambasciatore americano in Ucraina, sostiene che invece una vittoria russa contro Kiev potrebbe spingere la Cina a occupare Taiwan, vedendo un segnale di debolezza da parte di Washington. Di certo Trump ha fatto sapere che non darà una grande protezione militare all’isola e preferisce usare il suo carisma come deterrente nei confronti della Cina. Inoltre, rompendo l’asse tra Russia e Cina, la nuova vicinanza a Mosca potrebbe essere utile per agire in Medio Oriente. A Trump di sicuro interessa ristabilire gli accordi di Abramo, i patti tra Israele e Emirati Arabi Uniti e Bahrain che la sua amministrazione aveva fatto firmare nel settembre del 2020, normalizzando le relazioni tra le due potenze dopo anni di tensioni e scontri. In tutto questo, l’altra possibilità è quella di rafforzare questo asse e schiacciare ancora di più l’Iran, che resta il grande nemico di Trump. Su questo molti sono scettici: Jonathan Panikoff, ex membro dell’intelligence Usa, sostiene che i paesi del Golfo siano meno propensi ad attaccare l’Iran e preferiscano trovare una strada per arrivare a una convivenza pacifica. Trump e la sua amministrazione invece hanno da sempre un approccio da falchi nei confronti di Teheran, cosa che potrebbe aumentare le tensioni e di sicuro rafforzare le possibilità che Israele vada allo scontro diretto.
Per capire come queste tensioni possano essere amplificate dagli Stati Uniti, ieri il governo americano ha accusato un uomo iraniano, Farhad Shakeri, di 51 anni, di avere «ricevuto il compito» di uccidere Trump prima che fosse eletto. Il Dipartimento di Giustizia ha desecretato le accuse penali per lo sventato complotto per uccidere il tycoon prima delle elezioni: un dirigente della Guardia Rivoluzionaria iraniana ha incaricato lo scorso settembre un contatto, identificato appunto come Farjad Shakeri, di elaborare un piano per sorvegliare e infine uccidere Trump.