Vincenzo Fuoco: «Abusato dal mio allenatore da bimbo. Ora il mio incubo è diventato un film»

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Vincenzo Fuoco ha 37 anni, ma più di una vita alle spalle. Da ragazzino è stato abusato sessualmente dal dirigente accompagnatore della sua squadra di calcio professionistica: aveva undici anni quando è piombato nell’incubo, finito al raggiungimento della maggiore età. La sua storia è diventata un docu-film - “Cattivi Maestri” diretto da Roberto Orazi - presentato alla Festa del Cinema di Roma. Vincenzo è un allenatore della Figc e per il comitato regionale della Lombardia è il delegato alla tutela dei minori. Si è tirato fuori anche dall’inferno della droga. Ha due bimbe, la più piccola di un anno.

Sa cosa fa nella vita quell’uomo? Lo ha mai cercato?

«No, non so assolutamente nulla di lui dal giorno della denuncia, dal 2018. Non so dove abiti e se sia ancora all’interno del mondo dello sport. Però ci penso, ma non perché io voglia sapere che fine abbia fatto, ma solamente perché ogni tanto vorrei capire se sa quali conseguenze ci sono state dopo quegli abusi».

Perché non ha denunciato prima?

«Me lo sono chiesto per tanto tempo e la risposta è sempre stata la stessa: vergogna e senso di colpa. Ti senti complice e responsabile. Ti senti assolutamente alla pari con la persona che sta abusando di te. È un plagio vero e proprio, soprattutto in un bambino che non ha strumenti per comprendere né sotto il piano psicologico e nemmeno sotto quello fisico cosa sia giusto o sbagliato».

C’è un motivo per il quale ha deciso di raccontare tutto? Un senso di rivincita o paura che qualcuno stia vivendo lo stesso?

«Oltre questo io ci aggiungo un’altra cosa, un terzo fattore: la paura che qualcuno possa viverlo nel futuro. Il tutto comunque parte, non lo nego e non posso farlo, dalla necessità personale di non aver avuto ascolto da nessuno e nemmeno dalla giustizia. Ho sentito la necessità fisica di voler vomitare tutto fuori. La necessità di liberarmene. Più che rivincita è un metterlo in faccia alle persone, faglielo vedere, fargli capire quello che ho attraversato e fargli capire che se alcune volte ho una reazione un po’ così, magari esagerata, un motivo c’è. E poi sicuramente tendere una mano a chi lo sta subendo, se c’è qualcuno, che è necessario parlarne, nel miglior modo che si ritiene possibile. Ma farlo».

La denuncia è caduta nel vuoto per prescrizione. Eppure chi l’ha accolta conosceva quell’uomo...

«Quello è stato un momento difficile, era il momento in cui stavo peggio. Avevo deciso di cercare un aiuto nelle istituzioni. È stato drammatico, mi sono sentito ancora una volta responsabile e mi è arrivato un messaggio tragico: allora forse quello che ho passato non è così grave. Vedere che venivo liquidato dalla legge con un foglio mandato per posta è stato un tonfo al cuore, veniva data ragione a chi ha fatto quelle azioni. Il suo modus operandi era stato vincente. Mi rimane che quel maresciallo conoscesse quell’uomo, o fosse venuto a conoscenza che in quella società dove c’era anche suo figlio, andasse negli spogliatoi. Per un attimo ho pensato ora mi credono, ma un istante dopo è finito».

Cosa devono fare le scuole calcio per evitare che questa storia possa succedere di nuovo?

«La tutela dei minori non deve essere un onere o una responsabilità. Molto spesso viene considerata come una tutela dell’allenatore stesso e non del ragazzo. Bisogna cambiare la prospettiva».

Adesso come sta?

«Ora sto bene. Il mio è un percorso, non se ne esce mai, si impara a passarci attraverso. Ho momenti difficili, basta una canzone, una frase, un’immagine, una notizia e tutto mi ritorna in mente. Cerco di pensarci il meno possibile e di fare il papà di due splendide bambine. E sono un uomo innamorato».

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