Guerra Israele-Iran, Tajani: «Teheran eviti di reagire, subito negoziato per la pace. Usa amici chiunque vinca»

3 settimane fa 9

Ministro Tajani, sui conflitti a Gaza e in Libano e sugli attacchi israeliani all’Iran, qual è il messaggio che rivolge al governo di Teheran con cui lei ha avuto contatti importanti e che rappresenta la parte più moderata del regime?

«Io dico che adesso l’Iran non deve reagire alla reazione, perché bisogna evitare l’escalation. In queste ore Israele ha compiuto un’azione mirata in replica a un attacco mirato. Non si tratta di una guerra generalizzata. E deve prevalere subito la responsabilità. Tutti devono fare la propria parte. E l’Iran deve anche convincere Hezbollah, Huthi e miliziani siriani a non attaccare più Israele».

Su che cosa poggiano i suoi auspici in favore della ragionevolezza, mentre la situazione sembra sempre più incendiata?

«Io mi auguro che il nuovo governo di Teheran non voglia scatenare la guerra. Ognuno ha compiuto la sua reazione e controreazione, ora prevalga la diplomazia».

Attentato Tel Aviv, il camion e la base dell'unità d'intelligence 8200 che Hezbollah aveva provato a colpire pochi giorni fa

Ma come si fa a farla prevalere?

«Bisogna, come ho detto, che l’Iran freni i suoi supporter e quanto a Israele ormai ha vinto militarmente a Gaza e può arrivare a un cessate il fuoco che può portare a liberare gli ostaggi e alla fuoriuscita con un salvacondotto degli ultimi capi terroristi da Gaza. Vadano all’estero a chiedano asilo in qualche Paese che li vuole ospitare».

La Farnesina deve continuare a tessera la tela per limitare il diffondersi di questa guerra?

«Noi siamo convinti di poter giocare un ruolo in questa fase di transizione, sia in Palestina sia in Libano. Dobbiamo favorire la designazione al più presto del nuovo presidente del Libano che, per costituzione, dev’essere un cristiano maronita. In assenza del Capo dello Stato, in Libano il governo non può funzionare a pieno regime e non potrà affrontare concretamente il tema della tregua con Israele. In più, va rafforzato l’esercito regolare libanese affinché possa effettuare un effettivo controllo sul territorio nazionale. Queste forze regolari dovrebbero occupare uno dei due territori cuscinetto tra Israele e Hezbollah. Il primo di questi territori, quello più vicino alla frontiera tra Libano e Israele e cioè quello più a Sud, resta sotto il controllo del contingente Unifil, che però va rafforzato e occorrono nuove regole d’ingaggio. Più a Nord, dopo il fiume Litani, serve il presidio dell’esercito regolare libanese che impedisca qualsiasi attacco di Hezbollah a Israele».

Questi sono i due obiettivi strategici da raggiungere, ma intanto le popolazioni civili sono martoriate.

«Stiamo anche lavorando per la salvaguardia della vita e delle condizioni di vivibilità dei civili: dei palestinesi, dei libanesi e dei siriani che vivono in Libano. C’è il progetto Food for Gaza avviato dal nostro ministero degli Esteri. Abbiamo già inviato e distribuito una sessantina di tonnellate di cibo. Adesso, abbiamo regalato al programma alimentare mondiale quindici tir che partiranno carichi di materiale sanitario e di beni alimentari dal porto di Genova. Questi camion, dopo la prima distribuzione, resteranno a Gaza per continuare a distribuire gli altri aiuti che ci saranno. La settimana scorsa, abbiamo stanziato 25 milioni di euro aggiuntivi per aiutare le popolazioni civili non solo in Palestina ma anche in Libano».

Ma almeno sul piano umanitario, esistono forme di collaborazione tra nemici?

«Le assicuro che esistono eccome. Tutto ciò che facciamo a Gaza lo facciamo con il sostegno di Israele e dell’Autorità nazionale palestinese. Questo tipo di collaborazione lo si ha grazie alla capacità diplomatica italiana. Voglio ricordare che, alla conferenza internazionale per gli aiuti umanitari nell’ambito del G7 a Pescara, sono intervenuti palestinesi, israeliani e libanesi e questo ha rappresentato un successo politico del nostro Paese. A Parigi invece, nell’altra conferenza sugli aiuti, hanno partecipato soltanto palestinesi e libanesi».

Lei è stato l’ultimo leader europeo a vedere Netanyahu. Non crede che il premier israeliano debba ora impegnarsi a costruire una fase politica nuova, sennò merita un vero isolamento internazionale?

«Vuole mettere fuori gioco Hamas e Hezbollah e noi siamo preoccupati per le sorti delle popolazioni civili. Va sensibilizzato in questo senso Netanyahu. Ovviamente senza negare a Israele il diritto all’autodifesa. S’è appena svolto un attentato a Tel Aviv, dopo che si era cercato di colpire la residenza di Netanyahu. Se gli altri continuano negli attacchi, non si può pretendere che lui rinunci alla difesa. Perciò l’Iran ha una responsabilità importante, che è quella di fermare il terrorismo. In ogni caso, è giunto il momento del cessate il fuoco e tutti facciano la propria parte. Israele compreso».

Nel frattempo, s’è votato in Georgia. Quanto la preoccupa la contestata vittoria dei filo-russi?

«C’è un attacco da parte russa che non è soltanto militare. Ma sta anche nel tentativo d’influenzare la situazione politica ed elettorale in Moldavia e in Georgia. Allo stesso tempo, i russi continuano a fare attacchi cybernetici in molti Paesi».

Compreso il nostro?

«Purtroppo, sì. E infatti abbiamo alzato tutte barriere informatiche di difesa. Dobbiamo vigilare sempre di più in ogni elezione nei Paesi dell’Ue».

Hanno dunque ragione i partiti georgiani sconfitti che denunciano manipolazioni intollerabili?

«Hanno completamente ragione. E noi tutti conosciamo quali sono i sistemi russi d’ingerenza».

Se ci voltiamo verso l’America, troviamo una campagna elettorale sempre più dura. Donald Trump sta dicendo che se dovesse vincere Kamala Harris avremo la terza guerra mondiale. E’ così, secondo lei?

«I toni da campagna elettorale, come si sa, sono iperbolici. Io le posso dire qual è la posizione del nostro governo sulle presidenziali negli Stati Uniti. Noi siamo amici di quel grande Paese a prescindere di chi vinca le elezioni. E’ la nostra storia repubblicana che ci ha collocato affianco degli Usa e continueremo su questa strada sia con Trump sia con Harris».

C’è tra di voi però Salvini che è super-trumpiano.

«Ognuno ha le sue legittime posizioni. La mia è che, così come non vogliamo le ingerenze degli altri, non dobbiamo ingerire nella politica di Paesi che non sono il nostro».

Quali potrebbero essere le conseguenze per l’Europa e per l’Italia se vince Trump e quali se vince Harris?

«Mi auguro che né l’uno né l’altra pensino di abbandonare lo scenario geopolitico europeo e quello mediterraneo-africano. Perché qui si giocano sfide politiche ed economiche di interesse fondamentale anche per gli Stati Uniti. Perciò, in qualità di presidente del G7, continuo a dire che serve da parte delle grandi democrazie liberali del mondo una strategia molto ambiziosa».

Quale sarebbe?

«La strategia di incentivare sempre di più la democrazia perché, nel confronto tra democrazie e autocrazie, c’è anche l’attacco al dollaro e all’euro. Per sostituirli nei grandi contratti con altri monete».

Per fermare l’espansionismo di Cina e Russia non servirebbe un’Europa meno infragilita al suo interno, meno in preda ai sovranismi stile Orban?

«Quel che serve è puntare veramente sulla forza di noi stessi. Perciò dev’esserci più Europa, più Nato, più G7. E più capacità di fermare le pulsioni nazionalistiche che, pensiamo all’Europa e non solo, portano danni ovunque».

A proposito di Ue. Che aria c’è intorno all’audizione di Fitto?

«Direi molto buona. Sia perché le sue qualità politiche sono indiscutibili, sia perché ha l’appoggio del Ppe. Per lui non vedo problemi. Se i socialisti dovessero attaccarlo, farebbero un grave danno alla vice-presidente designata della Commissione, la socialista Ribera».

Leggi tutto